Il Sole 24 Ore: BPVi e Veneto Banca, migliaia di soci sono rimasti “incastrati”
Sabato 18 Aprile 2015 alle 18:34 | 0 commenti
I titoli non quotati della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca hanno subìto una débâcle: i timori che Plus24 aveva espresso da tempo si sono avverati. Le azioni sono state pesantemente deprezzate e migliaia di soci che anche per mesi e mesi avevano tentato invano di venderle attraverso le banche stesse sono rimasti “incastratiâ€.
In questo caso le banche oltre che emittenti di titoli diffusi, non quotati ma valutati sulla base di perizie annuali richieste dai Cda e approvate dai soci, sono anche intermediarie delle proprie azioni. Le tensioni sono pesanti: all’assemblea di PopVi di sabato 11 aprile alcuni soci hanno contestato il management sulla proposta di deprezzare del 23% le azioni a 48 euro dai 62,5 precedenti, valore dell’aumento di capitale 2014 quando la sottoscrizione poteva essere esercitata anche facendo finanziare da PopVi (ma con un lock up) l’acquisto di azioni. «La determinazione di tale valore è principalmente riconducibile agli effetti del “comprehensive assessment†della Bce e ai conseguenti impatti su patrimonio e target di capitale», spiegava la banca in una nota dell’8 aprile, a soli tre giorni dalle assise. Proposta approvata obtorto collo: se fosse stata respinta l’azione sarebbe scesa al nominale di 3,75 euro fino all’assemblea successiva. In una nota, PopVi fa sapere che i temi dell’illiquidità «sono stati oggetto di ampia trattazione nel corso dell’assemblea dell’11 aprile. Popolare di Vicenza ha sempre operato correttamente con i risparmiatori e con i propri soci e ha sempre puntualmente ottemperato a tutta la normativa pro-tempore vigente in materia». Quanto a Veneto Banca (che, contattata, non ha risposto), il 9 aprile il Cda ha proposto la riduzione del valore delle azioni da 39,5 a 30,5 euro (-22,8%) per includere «gli effetti derivanti dal comprehensive assessment condotto dalla Bce» a ottobre 2014 e riflettere «il perdurare della crisi economica». L’assemblea odierna si preannuncia infuocata: secondo la stampa locale alcuni soci inveiscono contro la svalutazione nelle filiali e la banca avrebbe chiesto lo spiegamento di forze dell’ordine, l’uso di metal detector e di vigilantes privati.
Eppure già dal 2012, per infittirsi poi nel 2014, Plus24 aveva registrato decine di casi di investitori che non riuscivano a vendere le azioni dei due istituti. Il rischio dell’illiquidità era stato indicato dalle banche nei prospetti e negli estratti conto titoli. Chi è rimasto “incastrato†ora cerca vie d’uscita. Che potrebbero venire dall’Ombudsman bancario, il quale il 23 luglio 2014 ha condannato Cassa di Risparmio di Ferrara a restituire a un azionista l’intero importo investito in azioni Carife, oltre agli interessi legali dalla data dell’investimento. Secondo l’Ombudsman, Carife, nel collocare e negoziare le sue azioni non quotate, aveva violato la comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009 sui doveri di correttezza e trasparenza dell’intermediario in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi. La banca avrebbe dovuto evidenziare il rischio di illiquidità in modo rilevante e non con un “mero rinvio†al prospetto informativo. Secondo la Consob, chi intermedia titoli illiquidi deve inviare all’investitore rendiconti periodici con informazioni specifiche su fair value e presumibile valore di realizzo del titolo. L’Ombudsman, nel caso di Carife, ha stabilito che per dimostrare di aver adempiuto agli obblighi di informativa e trasparenza non basta farsi firmare una dichiarazione del cliente su consapevolezza dei fattori di rischio, condizioni e modalità del prospetto informativo e che dunque Carife aveva violato l’articolo 21 del Testo unico della finanza. Una via che ora molti potrebbero cercare di seguire.
di Nicola Borzi da Il Sole 24 Ore
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