Il Sole 24 Ore, Gianni Mion: "Esuberi BPVi, non sarà possibile gestirli soltanto con i fondi per gli stati di crisi"
Giovedi 27 Ottobre 2016 alle 09:39 | 0 commenti
Esuberi quantificati in un numero compreso tra i 1.300 e i 1.500 (quando ne erano stati preventivati 550). Su un totale di circa 5.500 dipendenti. La “doccia fredda†che ieri mattina è arrivata con le parole del presidente della Banca Popolare di Vicenza Gianni Mion conferma le voci che circolavano già da qualche settimana. L’istituto vicentino scopre le carte sul suo futuro occupazionale e lo fa con crudezza: «Non si tratta di una soluzione temporanea – ha detto Mion -. È un numero importante e strutturale. Forse abbiamo commesso l’errore di non dirlo subito, ma ora non siamo in condizione di aspettare.
Dobbiamo convincere le organizzazioni sindacali che il numero è questo – ha continuato il presidente della banca vicentina – . Dobbiamo trovare una soluzione, ma non sarà possibile gestire gli esuberi soltanto con i fondi a disposizione dei bancari per gli stati di crisi». Durissima la risposta dei sindacati alle parole di Mion: «Dichiarazioni inaccettabili. Se il cda deciderà per i licenziamenti, sarà guerra senza confini», si legge in una nota unitaria di tutte le sigle della categoria. Da tempo i sindacati chiedono al vertice della Popolare di Vicenza un piano industriale di rilancio della banca all’interno del quale discutere gli eventuali esuberi. «Il piano industriale dovrebbe essere una priorità , il primo punto per il cda per avere un futuro reale. Ci sembra, invece, che Mion sia venuto a giocare con la vita di tutti noi – continua il commento -. C’è un contratto nazionale da rispettare, regole condivise sulla gestione degli esuberi». Ancora più dura la reazione di Uilca: «Chi parla con tale leggerezza di esuberi di personale, oltre quelli gestibili con gli strumenti del contratto, di fatto parlando senza pudore di licenziamenti, non è degno di essere il presidente della Banca Popolare di Vicenza con 150 anni di storia. Per salvare la faccia può solo rassegnare le sue dimissioni al primo cda utile». Le parole del presidente Mion giungono in un momento significativo per la Popolare di Vicenza. Ieri si è svolto a Milano un consiglio di amministrazione che ha fatto il punto sui tavoli di conciliazione, sull’azione di responsabilità – che sarà portata all’ordine del giorno dell’assemblea dei soci entro novembre – e, appunto, sul nuovo piano industriale che dovrà essere approntato entro l’anno («speriamo entro i prossimi due mesi», ha detto Mion). Cda che ha seguito di un giorno quello di Veneto Banca, il quale ha affrontato temi simili, approvando uno schema di risarcimento per le conciliazioni, e che precede l’incontro congiunto che si svolgerà domani a Milano tra i vertici delle due banche venete. Un incontro in cui si farà il punto sulle sinergie in termini di costi, sulle conciliazioni, che dovranno seguire una linea comune (anche perché molti soci reclamanti – più di 7mila per la Vicenza, per un ammontare di 620 milioni reclamati e 230,7 accantonati, e circa 3mila per Veneto Banca, con domande di risarcimento per 175 milioni e accantonamenti per 32 – sono gli stessi per entrambe le banche) e dovrà affrontare in modo concreto il tema della fusione dei due istituti. Sul tema tanto dibattuto della fusione ci sarebbe una accelerazione, dopo che la Banca centrale europea avrebbe vigorosamente invitato il fondo Atlante a seguire velocemente questo percorso. «Al momento non vedo altre opzioni possibili – ha detto ieri Mion – . Le alternative alla fusione non ci sono». Potrebbe essere proprio la questione della fusione, che esigerebbe tempo – Mion ha appunto parlato di due mesi, quando si attendevano novità già per ottobre – per integrare nei rispettivi piani industriali la prospettiva di una fusione, il motivo per cui ancora non si delineano distintamente le caratteristiche del nuovo piano. Una cosa è certa: «Per rilanciare la banca abbiamo bisogno di soldi sicuri – ha detto ancora il presidente della Vicenza, anche in riferimento al fatto se sia sufficiente la ricapitalizzazione di Atlante -. Quanti, lo dirà il piano». Per quanto riguarda le conciliazioni, ieri in consiglio si è decisa una accelerazione: entro un mese si giungerà alla risoluzione di tutti i casi che potranno essere risolti con il budget a disposizione (i 230,7 milioni). E intanto, prosegue la razionalizzazione dei costi: le filiali chiuse fino ad oggi sono circa 150, si metterà in vendita parte del patrimonio immobiliare, il cui valore è stato peritato in circa 500 milioni, mentre entro l’anno chiuderanno, dopo quella di Mosca, le sedi di New York, Hong Kong e Shanghai. Del fondo di supporto per le casistiche indipendenti dal tema delle azioni, che consta di 2 milioni di euro, si è già cominciato l’utilizzo (ad esempio con lo stralcio di mutui pendenti) per risolvere i casi di difficoltà più gravi.
Di Katy Mandurino, da Il Sole 24 Ore
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