Il Sole 24 Ore: ecco come Consoli lavorava con i suoi... proconsoli
Sabato 6 Agosto 2016 alle 10:17 | 0 commenti
La parola d'ordine era una sola, categorica e impegnativa per tutti: vendere. Nella fattispecie, azioni proprie. Dalla direzione generale di Veneto Banca e dal suo ad Vincenzo Consoli, alle direzioni territoriali, sino alle propaggini dell'impero bancario della ex popolare di Asolo e Montebelluna, non c'era rimasto nessuno (o quasi) a pensare in termini di solvibilità della clientela affidata. L'unica preoccupazione era aumentare il capitale sociale piazzando titoli. A ogni costo. Qualche esempio? Eccone alcuni.
«Durante la cena Mosè Fagiani (condirettore generale di Veneto Banca, indagato ndr) mi chiese di seguirlo a fumare una sigaretta, cosa che invero faceva spesso. In quell'occasione (...) mi chiese conto dell'attività in corso sul fronte della sottoscrizione di azioni (...) e mi disse, testuali parole: "Tu sei appena arrivato, devi trovarmi qualche operazione, datti da fare, altrimenti la tua carriera di direttore territoriale finisce ancora prima di iniziare"». A parlare con i finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria era uno dei dirigenti più importanti nel sistema "rete" di Veneto Banca.
Poche parole, quelle che si leggono sui verbali dell'ordinanza di custodia cautelare che ha portato Vincenzo Consoli agli arresti domiciliari, che tuttavia tratteggiano un clima lavorativo irrespirabile. Un'atmosfera irrimediabilmente guastata dai diktat ossessivi che giungevano dalla direzione generale e che, a cascata, si riverberavano su tutta la catena gerarchica. Circostanze non nuove. Che abbiamo già incontrato in altre casi di crisi bancarie: da Banca delle Marche in avanti. Su queste pagine abbiamo avuto modo di segnalare la particolare vulnerabilità dei dipendenti più corretti del settore a fronte di strategie commerciali spregiudicate.
Una vulnerabilità che trova una plastica rappresentazione in altre pagine dei verbali e delle intercettazioni telefoniche ed elettroniche acquisite dagli inquirenti. Quelle, per esempio, nelle quali due quadri della banca veneta commentano le metodologie operative di un loro superiore.
«Il problema è che se io ho dieci clienti se io dieci potenziali clienti e lo spazio per accoglierne sei, ma perché devo andare a incasinarmi anche con, cioè prenderò i migliori sei di quei dieci, non i più incasinati, se posso scegliere il cliente se ho l'opportunità di scegliere i clienti buoni perché devo andare a incasinarmi la vita, io qua, è la prima banca, cioè qui ho visto un sacco di posizioni dove ho visto i fidi con gli accantonamenti sul portafoglio del 10% tanto che erano di (...) che (...) trovato qui (...) Ma so minchiate, il cliente o è buono e lo si affida o se non è buono non lo si affida. Punto. Troviamo un altro cliente perché le opportunità ci sono».
E sull'abitudine (evidentemente incoraggiata dai vertici apicali della banca) da parte dei clienti di scavalcare le gerarchie rivolgendosi ai piani più alti si legge ancora: «Il terreno fertile qua lo trovano in alto, mentre invece nelle altre banche se ti dice di no il gestore, il gestore ti dice di no educatamente, il capo del centro imprese ti sputa in faccia, il capo area ti piglia a scarpate, quindi il cliente non scavalca il gestore perché più vai in alto più prendi mazzate!».
E sulla consapevolezza delle criticità di molte delle imprese affidate in cambio di acquisti di azioni ecco un'altra testimonianza in presa diretta: «Marco, non c'hanno capacità di credito, di rimborso ste aziende qua! Tanto è vero che l'ha segata (...) la prima, comunque tu adesso fisicamente cosa ti aspetti che ti arrivi...». E rivolgersi all'alto non serviva proprio a nulla. Tanto che uno degli intercettati risulta essersi rivolto direttamente a Consoli. Che, invece di considerare le parole del suo dipendente, avrebbe replicato seccamente:«C...o sulle azioni non state facendo niente».
di Stefano Elli, da Il Sole 24 Ore
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