Il Fatto: il "recesso" da Popolare di Vicenza a 6,30 euro è un salasso peggiore di quello dell'Etruria, dopo la Borsa azioni a 2,7 euro?
Giovedi 18 Febbraio 2016 alle 10:20 | 0 commenti
I punti nodali (e ferali) del lungo e articolato comunicato con cui martedì 16 il Cda della Banca Popolare di Vicenza (che tra amici di Zonin & Zigliotto, indagati come Marino Breganze e condannati come Matteo Marzotto di certo non è l'ideale per guidare la drammatica operazione di risanamento e trasparenza dell'Istituto di via Btg Framarin) comunicava le sue ultime decisioni, tra cui la convocazione dell'assembleaper il 5 marzo, li avevamo centrati subito nel titolo sotto cui le riportavamo: "Le delibere del Cda della BPVi: recesso confermato a 6,3 euro, aumento di capitale sale a 1,763 mld, di cui il 45% per i vecchi soci premiati se rimangono e... comprano".
Non è di certo un vantaggio aver dilatato così tanto i tempi per arrivare solo il 5 marzo all'assemblea che dovrà decidere su trasformazine in Spa, quotazione in Borsa e aumento di capitale, rispetto a quelli già gestiti il 19 dicembre 2015 da una Popolare, la montebellunese Veneto Banca, che pure si trovava in situazioni simili anche se non gravata dei malefici intrecci "vicentini" che stanno ostacolando l'opera dell'Ad Francesco Iorio forse più delle tante sorprese negative da lui trovate nei conti e magari anche nella struttura legata al vecchio sistema.Â
Aver allungato quei tempi e aver dovuto evidenziare i valori di riferimento delle azioni in corso con un diritto di recesso (che peraltro è più virtuale che reale) fissato a 6,30 euro (meno 87% rispetto al crollo "pilotato"a 48 euro dai 62,50 di collocamento alle ultime decine di migliaia di soci truffati, che in quel caso si vedono i loro risparmi già tagliati del 90%) potrebbe portare a esiti impredibili dell'assemblea.
Leggiamo insieme l'analisi fatta dal collega Carlo Foggia de Il Fatto Quotidiano che riporta anche considerazioni dell'analista finanziario Alfonso Scarano già "utilizzato" efficacemente dal giornale di Marco Travaglio, le cui "opinioni" possono e meritano di essere discusse ma i cui dati (tipo quelli semplici semplici, ma determinanti per gli obblighi fissati da Bce e governo italiano, dell'attivo patrimoniale che la banca stessa in ogni comunicato ricorda essere di circa 40 miliardi di euro) sono talvolta stravolti sulla stampa locale online da pericolosi dilettanti di finanza allo sbaraglio che, per amore di protagonismo sulla pelle dei soci, lo innalzano a 51 miliardi.
E i dilettanti, per ignoranza, della critica a volte fanno male (per le decisioni che i soci andranno ad assumere) quanto i professionisti, di mestiere, del consenso.
Pop Vicenza, salasso per i soci peggiore del caso Etruria & C.
di Carlo Foggia, da Il Fatto Quotidiano
Meglio perdere il 90% subito o il 94% poi? Questo è il dilemma che hanno di fronte i 118mila soci della Popolare di Vicenza. Eppure la risposta non è scontata: il triste epilogo della banca vicentina andrebbe studiato per capire come migliaia di risparmiatori possano essere messi con le spalle al muro, sotto gli occhi delle autorità di vigilanza.
Martedì scorso l'istituto guidato da Francesco Iorio ha fissato in 6,30 euro il prezzo del diritto di recesso: i soci che nell'assemblea del prossimo 4 marzo voteranno No alla trasformazione in spa potranno chiedere di vedersi liquidate le azioni a quel prezzo. La cifra è tristemente indicativa delle modalità dissennate di gestione della banca e della valutazione del prezzo a cui venivano vendute le azioni (spesso come condizione per avere un prestito) durante l'era di Gianni Zonin. Sulla base di perizie indipendenti, nei fatti palesemente gonfiate, l'asticella era stata fissata a lungo a 62,5 euro, poi a 48 euro ad aprile 2015. Chi chiederà il recesso, perderà circa il 90%: 4 miliardi di capitalizzazione in fumo, peggio di quanto successo con Etruria & Co. Con questo spauracchio, Iorio punta a evitare che i 118 mila soci si presentino in massa a chiederlo, mandando all'aria il progetto - su cui deciderà l'assemblea - dell'aumento di capitale da 1,75 miliardi e della quotazione in Borsa, da fare entro aprile.
Un'opzione, però, non del tutto scontata. Il prezzo di 6,30 euro ha stupito anche i più pessimisti sulla condizione della banca, che ha chiuso il 2015 con 1,4 miliardi di perdite e 8,8 miliardi fuggiti dai depositi. Ieri, l'ad ha incontrato i dipendenti dell'istituto: nella riunione, durata mezz'ora - stando a quanto filtra - avrebbe riferito il peggioramento della situazione che ha spinto il cda ad alzare da 1,5 a 1,75 miliardi l'aumento di capitale, e poi chiesto ai lavoratori preoccupati di fare gioco di squadra. Quasi tutti i dipendenti sono anche soci, e le prospettive non sono rosee. Secondo le simulazioni dell'analista Alfonso Scarano, partendo dai 6,30 euro iniziali, e ipotizzando una capitalizzazione post aumento pari al doppio di quella di Carige (900 milioni) il prezzo finale delle azioni arriverebbe a 2,7 euro, con una perdita di valore per i soci del 94%, e con i nuovi azionisti che subentrerebbero con una quota del capitale del 71%. Unicredit ha garantito la sottoscrizione dell'aumento per la quota rifiutata dai soci, ma non è chiaro a che prezzo, e questo potrebbe spingere il valore finale anche più giù, verso livelli appetibili per i fondi speculativi.
A questo punto i soci potrebbero essere spinti a limitare i danni esercitando il diritto di recesso. Nel suo comunicato di martediÌ€, peroÌ€, la banca ha chiarito che i soldi non verranno dati subito indietro. Come accaduto con Veneto Banca, l'istituto ha spiegato che limiteraÌ€ "in tutto e senza limiti di tempo il rimborso delle azioni con fondi propri" visto il rosso patrimoniale. Una mossa consentita dal decreto sulle popolari del governo Renzi di febbraio 2015 e da una circolare di Banca d'Italia. Per l'Istituto, le azioni di chi chiede il recesso verranno prima proposte agli altri azionisti, poi offerte al mercato (magari con l'aumento di capitale) e "nel caso di mancato collocamento, le azioni residue saranno quindi restituite ai soci una volta terminate le procedure di legge". Solo a quel punto si potraÌ€ procedere al rimborso, che comunque non saraÌ€ affatto immediato percheÌ dipenderaÌ€ dall'aumento di capitale. "Il combinato disposto delle norme consente alla banca, in materia di recesso, di fare sostanzialmente quello che vuole - spiega Matteo Moschini, legale che assiste diversi azionisti di PopVicenza - anche, come prevede il decreto popolari, in deroga alla norma di legge".
Chi voterò no alla trasformazione in spa - come ad esempio l'associazione dei piccoli soci "Noi che credevamo in PopVicenza" - non eÌ€ poi obbligato a chiedere il recesso. Un bel problema per il management della banca, percheÌ senza la trasformazione in spa rischia di venir meno tutta la road map. Nel guado ci sono 118mila soci, piuÌ€ di tutti quelli delle 4 banche coinvolte dal decreto del governo del 22 novembre. E non c'eÌ€ un piano B.
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