Il Fatto, BPVi e Veneto Banca, allarme per mutui e prestiti: restituire tutto. E subito
Mercoledi 28 Giugno 2017 alle 09:36 | 0 commenti
Più passano le ore e più la ciambella della liquidazione coatta amministrativa delle due banche venete - regalando ciò che di buono resta a Intesa Sanpaolo a spese dello Stato - sembra non avere il buco. Nel primo giorno di lavoro, il commissario liquidatore Fabrizio Viola si è trovato con un guaio destinato a ripetersi. Il Comune di Parma, guidato dal rieletto sindaco Federico Pizzarotti domani si sarebbe dovuto sedere davanti a un notaio con gli uomini della Popolare di Vicenza. Tema: il rientro di un debito da 50 milioni, poi ridotto a 32 dopo un primo stralcio, contratto dalla controllata Stu Stazioni, la società che ha costruito la nuova stazione ferroviaria. Dopo mesi di trattative, il Comune aveva ottenuto un piano di rientro in 5 anni. Mancava solo la firma, ma ora non sa a chi rivolgersi.
Tecnicamente la sua posizione è un "credito deteriorato", e in quanto tale passato alla bad bank. Di norma le banche tentano di tenere in vita il debitore e infatti nell'accordo era previsto un nuovo finanziamento, di circa 1 milione di euro, per lasciare in piedi la società . Problema: a dispetto del nome, la bad bank non è una banca ma due società in liquidazione coatta. Non è chiaro in che modo possa aprire linee di finanziamento per ristrutturare un credito. E senza queste, la società fallisce. Come e peggio di Parma ci sono migliaia di imprese.
Parlando del decreto governativo, ieri il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha chiarito seccato in una lettera al Foglio che su Popolare di Vicenza "non abbiamo salvato due banche che non stavano in piedi. Abbiamo invece liquidato le banche e salvato lavoratori, risparmiatori e imprese. Cioè l'economia del territorio". Evidentemente dell'economia del territorio non fanno parte quei quasi 20 miliardi di prestiti deteriorati contratti da famiglie, imprese e perfino enti pubblici con Vicenza e Veneto Banca che finiscono nella bad bank in mano ai commissari liquidatori guidati da Viola. Attenzione però: non tutti sono crediti inesigibili (le cosiddette "sofferenze"), la metà è formata da situazioni di difficoltà del debitore che possono - per stessa ammissione del ministero di Padoan - perfino rientrare. E qui c'è un problema enorme che sta emergendo tra i commissari, che dopo essersi insediati hanno di fatto scoperto che legalmente potranno semplicemente trattare tutti i debitori allo stesso modo, chiedendo cioè di rientrare dai prestiti e recuperando il credito: coattivamente o attraverso stralci e mediazioni.
In queste ore il caos regna sovrano. Lo schema del salvataggio governativo prevede che Intesa si prenda ciò che vuole delle due banche, in primi 26,1 miliardi di crediti in buona salute (in bonis). Per evitare che l'ad Carlo Messina debba tagliare il dividendo ai suoi azionisti, lo Stato gli dà subito 5 miliardi, con garanzie per altri 12 miliardi se qualcosa dovesse andare storto. Intesa, per dire, potrà anche ridare indietro i crediti in bonis "ad alto rischio". Il resto finisce nelle banche in liquidazione, cioè nelle bad bank. Nella relazione tecnica del decreto, il ministero guidato da Padoan spiega di cosa parliamo: 17,5 miliardi di euro lordi di crediti deteriorati, di cui 8,9 miliardi di sofferenze e 8,4 di "inadempienze probabili" e "scaduti" (cioè con il debitore che è in ritardo nei pagamenti). I commissari liquidatori si sono presto accorti che la legge gli consente solo di chiedere a tutti il rientro dai prestiti, aggravando così il problema di famiglie e imprese che hanno contratto prestiti. Anche questa è l'economia del territorio.
Non solo. La bad bank non curerà direttamente la gestione dei crediti, ma la delega alla famosa Sga, la Società per la Gestione delle Attività - che il Tesoro ha rilevato da Intesa a maggio 2016 - che cominciò a operare nel 1999 per gestire i crediti deteriorati del disciolto Banco di Napoli dopo il suo fallimento (la parte sana fu ceduta al Sanpaolo di Torino). Si tratta di un intermediario non bancario che può lavorare al servicing cioè l'amministrazione, recupero e incasso dei crediti e di altri beni. "Non ha licenza bancaria e non può rifinanziare il debitore per gestire il credito. Può solo escutere quello del debitore ceduto - spiega l'avvocato Biagio Riccio, cassazionista e presidente dell'associazione "favor debitoris" che ha lavorato a lungo con la Sga in passato - È lo stesso decreto che lo ribadisce quando obbliga la società a dotarsi di un patrimonio almeno a garanzia della sua attività ". Il problema più grosso si pone per gli 8,4 miliardi di "inadempienze probabili" che il Tesoro - nel tentativo di spiegare che la Sga farà faville recuperando i crediti - spiega essere composte per "due terzi da prestiti destinati a migrare verso le sofferenze" e per il restante terzo, pari a 2,6 miliardi, a "tornare in bonis". Un fenomeno che capita di rado, ma che si verifica solo quando il rapporto finanziario è gestito da una banca, che può - come sanno migliaia di imprenditori - rifinanziare i debitori per permettergli di supere lo stato di crisi, come autorizza a fare la stessa Banca d'Italia (circolare numero 278 del 2008). Un vuoto normativo che ischia di scatenare un disastro all'economia veneta e non solo.
C'è poi un secondo problema. Avendo ereditato crediti deteriorati non ancora passati a sofferenza, e non potendo gestirli come una banca, difficilmente la bad bank potrà recuperare i 9,9 miliardi stimati dal Tesoro. Anche perché questa mole di crediti viene spostata alla bad bank e da lì alla Sga, agli stessi valori a cui le due banche venete la detenevano a bilancio, il 56% (su 100 euro penso di riaverne 56). Valore che gli stessi documenti di bilancio degli istituti considerano ottimista.
Carlo Di Foggia - Il Fatto Q
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