Le banche danno dividendi agli azionist, poi se li riprendono con gli aumenti di capitale
Domenica 15 Maggio 2011 alle 10:55 | 1 commenti
I dividendi sono soldi che l´impresa dà agli azionisti, remunerandone il capitale investito ma non creando direttamente valore aziendale anzi diminuendolo perché le attività dell´impresa si riducono dello stesso ammontare dei dividendi pagati. La distribuzione di dividendi può creare valore indiretto, specialmente quello della "soddisfazione" patrimoniale degli azionisti, che li spinge a tenere in portafoglio azioni di una società che sa retribuire il capitale). Ma i dividendi dovrebbero corrispondere solo a liquidità in eccesso rispetto a tutte le opportunità di investimento più redditive.Â
Se un´impresa può investire in modo vantaggioso, è interesse degli azionisti che tutte le risorse vengano investite, rinunciando con ciò ai dividendi (come fa Apple da anni) e avendo una visione proiettata alla redditività futura e nona breve. Solo se le risorse sono maggiori di quelle necessarie agli investimenti, è preferibile dirottarle sugli azionisti sotto forma di dividendi. Ciò detto sembra proprio che le banche italiane non ne tengano conto. Infatti, ad esempio, Banca Intesa distribuisce 1 miliardo di dividendi pochi prima di annunciare un aumento di 5 miliardi di capitale. Cioè chiede soldi ai soci ma una parte li rimette subito nella loro tasche. "Una partita di giro, però, che tra imposte sui dividendi e costi dell´aumento rischia di costare cara agli azionisti. E l´aumento di capitale da 5 miliardi viene dopo che Intesa ne ha pagati quasi 7 di dividendi dall´inizio della crisi, 4 anni fa.", ci ricorda Alessandro Penati su La Repubblica che continua: "Nello stesso periodo, Unicredit ha chiesto 7 miliardi di aumenti, dopo averne pagati quasi 5 di dividendi; 1 miliardo l´aumento di Ubi dopo 1,2 di dividendi; 2 miliardi di aumento e 1 di dividendi per Mps. Durante la crisi, dunque, i nostri banchieri hanno distribuito liquidità ritenendo che fosse in eccesso, per richiederla indietro agli azionisti poco dopo. Scarsa lungimiranza o scarsa comprensione della natura e della portata della crisi?".
Non dimenticando che Intesa e Mps, ad esempio, "promettono di restituire agli azionisti nei prossimi anni più soldi di quanto ne chiedono ora con l´aumento. Dunque, gli aumenti non servirebbero, se non come doveroso omaggio alle richieste della Banca d´Italia. Le banche ritengono infatti che la redditività sarà così elevata da soddisfare le richieste di patrimonializzazione delle autorità , finanziare l´espansione dell´attività , e distribuire dividendi che arriveranno anche al 50% degli utili, e oltre", superando di 10 punti i livelli di rendimento delle maggiori banche europee nell'ultimo decennio. Ma le banche non sono sciocche. Il loro ottimismo si poggia, oltre che sull'aumento delle commissioni (nei planning +34% complessivamente in 5 anni) e sui tagli del costo del lavoro, anche su un aumento del differenziale tra i tassi applicati e il costo della raccolta molto più contenuto, grazie anche al collocamento presso i risparmiatori di obbligazioni proprie a rendimenti inferiori a quelli di mercato (come evidenzia la Consob). Ma se crollasse la pazienza degli italiani e se la capacità di un´economia debole non sopportasse un forte aumento dei tassi? Ma soprattutto le banche hanno stimato correttamente e con i dovuti criteri di prudenza la concorrenza dello Stato che deve finanziare il proprio debito pubblico con l'emissione di una massa crescente di titoli?
Per i banchieri (sarebbe meglio dire per i manager di banche, perché il banchiere che rischia soldi suoi è sparito da tempo!) la crisi finanziaria sembra, quindi, essere solo un episodio passeggero e tale da non incidere a lungo sulla capacità reddituale del nostro sistema. Ma se così non fosse, e temiamo che così non sia, la politica dei dividendi sarebbe una prova di azzardo e/o una pura operazione di marketing per indorare la pillola degli aumenti di capitale. E così non va bene.
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