I danni di un Parlamento di avvocati
Domenica 24 Luglio 2011 alle 08:52 | 0 commenti
Da VicenzaPiù e Ovest-Alto Vicentinmo n. 218 in distribuzione (qui la locandina)
E' un Parlamento di avvocati o quasi, considerato il loro preponderante numero rispetto ad altre categorie professionali e lavorative. Un numero invero direttamente proporzionale a quello degli esercenti l'attività forense in Italia, levitato nell'anno in corso a ben 220mila unità , quasi il doppio degli avvocati esistenti in Germania e Gran Bretagna, e cinque volte superiore a quello dei loro colleghi francesi.
Un numero che, tornando al nostro Parlamento, si concentra soprattutto tra i banchi del centrodestra, dove gli onorevoli-avvocati si sono trasformati a poco a poco in una sorta di partito nel partito in grado di condizionare le scelte e la vita stessa del Governo. Una situazione di dubbia legittimità , se, come è accaduto il 13 luglio scorso, opponendosi all'unanimità contro un emendamento volto a favorire i processi di liberalizzazione delle
professioni, hanno anteposto di fatto l'interesse della propria categoria a quello della nazione, che per dettato costituzionale avrebbero il dovere, in via esclusiva e comunque prioritaria, di tutelare. Ciò a prescindere dal contenuto e dalla condivisibilità del citato emendamento, la cui possibile censura non doveva essere rimessa proprio a chi trae da essa un evidente, personale interesse. Ma i problemi di ingerenza e di incompatibilità che riguardano questi onorevoli-avvocati sono molto più diffusi e vanno avanti da troppo tempo. Tra loro ci sono indiscussi prìncipi del foro, ma anche qualche servile azzeccagarbugli che ha fatto della propria fallita eloquenza un valido strumento di sostentamento politico, visto che in politica le parole sono molto più importanti dei fatti. Ma tutti godono di un privilegio che è precluso ad altre categorie professionali, quali magistrati o accademici, ed è quello di poter continuare ad esercitare la propria attività professionale anche durante il mandato parlamentare, cumulando reddito ed indennità ed anzi incrementando clientela ed affari grazie alla "notorietà " fornitagli dal
loro ruolo istituzionale. Non a caso, dunque, nella graduatoria degli onorevoli più ricchi risultano esserci proprio alcuni di loro, con un reddito annuo da capogiro, come gli avvocati: Giuseppe Consolo, 2.308.103 euro; Giulia Bongiorno, 2.048.397 euro; Maurizio Paniz, 1.765.878 euro, e il padovano Nicolò Ghedini, 1.297.118 euro, legale storico del Premier Silvio Berlusconi. Un "onere" quest'ultimo, di cui, direttamente e non, si sono fatti carico nel tempo quasi tutti gli onorevoli-avvocati di maggioranza, con la supervisione e il coordinamento del loro collega, nonché Ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano. Sapete come. L'autonomia a cui si riferiscono gli onorevoli-avvocati non è quella di cui potrebbe realmente godere l'intera categoria forense attraverso una pur parziale liberalizzazione delle professioni, ma è quella circoscrivibile alla lobby di cui essi fanno parte, la quale da tempo ha il controllo dell'intero mercato professionale. Un mercato che la moltitudine dei comuni avvocati, quelli compressi, ormai oltre misura, da imposizioni fiscali e di previdenza superiori ai loro profitti, nonché da obblighi di astratto aggiornamento ed ipocrite limitazioni deontologiche, ha solo in limitata concessione. Un gregge contributivo che tuttavia ingrassa i gestori delle casse istituzionali, privo ormai di una valida tutela previdenziale considerate le pensioni da fame corrisposte agli avvocati al termine della loro attività , e la preannunciata impossibilità di corrispondere in futuro, tale pur misero trattamento, a chi per necessità continua a lavorare. Nè per attenuare tale gravissima situazione di disagio e crescente precariato degli appartenenti alla "loro categoria", gli onorevoli-avvocati si sono ad oggi mai attivati per una concreta riforma della avvocatura, volta al raggiungimento del numero chiuso o quanto meno delle specializzazioni. Anzi per accrescere confusione e malessere, essi hanno sostenuto l'istituzione degli uffici di mediazione e conciliazione, prospettandoli come strumenti utili a favorire la riduzione dei tempi processuali, e soprattutto i profitti di questa nuova parallela categoria professionale in cui, pare, alcuni di loro abbiano già ampie partecipazioni personali e parentali. Insomma, al solito, dura lex, ma non per tutti.
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