Giovanni Bertacche: No a riforme rivoluzionarie
Giovedi 22 Aprile 2010 alle 20:37 | 0 commenti
Vorrei ma non posso. Il governo non ha potere. In effetti è vero sulla Carta, nata dalle ceneri di un regime dittatoriale e preoccupata del suo ripetersi. Prova ne è la durata media (undici mesi) dei governi sotto la prima Repubblica. Ma ora le cose sono cambiate e proprio a Costituzione invariata. Perché anche grazie alla riforma elettorale del 2005, che ha previsto l'indicazione del candidato-premier e introdotto il premio di maggioranza che garantisce al vincitore più del 50 per cento dei seggi, i parlamentari sono nominati dalle segreterie politiche e dunque legati a doppio filo al capo dell'esecutivo.
Del resto una maggioranza parlamentare solida e accondiscendente ha dimostrato che quando le convenienze lo richiedono è in grado di approvare qualsiasi provvedimento e anche in tempi rapidissimi.
E dunque i poteri non mancano sia pur per vie politiche che dimostrano l'intelligenza di chi opera ma anche la flessibilità alle trasformazioni dell'attuale sistema. Questo per dire che se di riforme costituzionali si deve parlare si tratterà perlopiù di aggiustamenti ma di un meccanismo che funziona; pericoloso e anzi fuorviante anche solo annunciare riforme rivoluzionarie, comunque non confacenti al nostro sistema politico e culturale. Si fa un gran parlare di presidenzialismo o di semipresidenzialismo francese; ma a parte lo sbarramento perfino all'interno della stessa maggioranza è interessante conoscere almeno per linee generali le proposte per verificarne la portata e la praticabilità . In ogni caso riforme così incisive sull'assetto dello stato e del governo comportano una visione di insieme e una revisione di tutti i meccanismi per non creare pericolosi sbilanci e fuoriuscite dai controlli; un'operazione delicatissima che richiede sensibilità non dipendenti da contingenze politiche del momento per guardare invece al futuro e ad ogni possibile figura di governo: quel rawlsiano "velo di ignoranza" che rende eguali le parti nella posizione originaria. Tanto più che questo tipo di riforme viene a incrociarsi con quello delle Camere e, tema del giorno, con il federalismo istituzionale che comporta un consistente ridimensionamento dello stato centrale. Dunque un vero e proprio sconvolgimento dell'assetto esistente. Bene ma. Si arriverà a capo di qualcosa? Sono più di venti anni che si parla di riforme: ricordate le varie bicamerali ed i tentativi di qualcuno, anche se mal riusciti, di revisione costituzionale della serie la montagna ha partorito il topolino. A parte dunque la necessità di coinvolgimento culturale prima ancora che politico si chiede tanto impegno fattivo da parte del sistema politico. Anche per non farci vivere perennemente in clima di "paese provvisorio": si cambia, non si cambia, come si cambia. Certo che quanto si annuncia è talmente sconvolgente che quasi quasi si stenta a credere. Meglio sarebbe invece, anche per essere pragmatici e per non deludere le attese, la politica dei piccoli passi continui e sicuri. Le riforme prospettate, praticamente dell'intero assetto istituzionale, comportano oltre a intelligenza ed equilibrio anche condizioni generali favorevoli per il rifacimento della Costituzione. Ci sono? Non si vorrebbe ancora il "tutto cambia perché nulla cambi".
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