Fusione Bpvi Veneto Banca, Massimo Masi: una fusione produrrebbe macelleria sociale tra i dipendenti
Mercoledi 7 Settembre 2016 alle 09:32 | 0 commenti
L'autunno caldo è alle porte per le due ex banche popolari del Veneto. Di qua si apre un fronte sindacale assai belligerante sul versante degli esuberi del personale (Massimo Masi della Uilca, solo per citarne uno: «Una fusione tra Vicenza e Montebelluna produrrebbe macelleria sociale tra i dipendenti»), di là avanzano, dalla piazza finanziaria milanese, indiscrezioni giornalistiche che vorrebbero quattro fondi di investimento americani in manovra di abbordaggio per entrare a pieno titolo nella partita. E dunque: dell'interesse di Atlas, Centerbridge, Warburg Pincus (private equity) e Baupost (hedge) per i due istituti veneti si era già detto e scritto. Ora, però, secondo quanto riportava ieri il quotidiano Milano Finanza in prima pagina, i quattro fondi Usa avrebbero presentato a inizio settembre un'offerta formale direttamente ad Alessandro Penati, dominus di Quaestio Sgr e pertanto, attraverso il Fondo Atlante, azionista di larghissima maggioranza delle due ex Popolari.
Da Corso Como, sede milanese di Quaestio, arriva un impenetrabile «no comment», nel solco di una linea comunicativa improntata sin dall'inizio al massimo rigore nel divulgare notizie riguardanti le due banche acquisite a breve distanza in Veneto, con l'esborso totale di 2,5 miliardi di euro.
E proprio i soldi investiti da Atlante introducono un elemento critico tutt'altro che indifferente negli sviluppi «americani» della vicenda. Sempre secondo le indiscrezioni raccolte da MF, infatti, l'offerta dei quattro fondi Usa - che sarebbe stata contestualmente presentata anche a Bce e Bankitalia, sotto il nome di Progetto Power Point - metterebbe sul piatto un miliardo cash per assumere il ruolo di soci di riferimento per Veneto Banca e Popolare di Vicenza, destinate a diventare un soggetto bancario unico attraverso un processo di aggregazione per fusione. Ma, se la matematica è ancora una scienza esatta, con un miliardo di euro è possibile acquisire al massimo una partecipazione azionaria del 40% rispetto al valore patrimoniale delle due banche del Nordest. Un particolare non proprio secondario, nella valutazione di un'offerta che, sempre secondo quando risulta a MF, potrebbe comprendere anche un piano per la valorizzazione degli Npl, i crediti deteriorati che di sicuro non fanno difetto a Bpvi e Veneto Banca.
L'altro fronte, quello più strettamente sindacale, risente di un clima generale dove sempre più spesso, dal governo nazionale in giù, si sente affermare che i dipendenti del settore bancario sono troppi e vanno notevolmente ridotti. A questo si aggiunga il fatto che Francesco Iorio, Ad di Popolare Vicenza, non più tardi di lunedì ha fatto sapere che, di fronte al «rosso» di 800 milioni accumulato dalla banca nei primi sei mesi dell'anno, il piano industriale andrà rivisto e che i previsti 550 esuberi del personale «credo non saranno sufficienti». Per non dire del fatto che, se si andrà a una fusione tra i due istituti di credito, la prospettiva che gli attuali 10.500 dipendenti totali risultino pesantemente in eccesso è quanto mai realistica.
Giuliano Xausa della segreteria nazionale Fabi (il quale, potenza delle coincidenze, ieri partecipava a un corso di formazione sull'azione di responsabilità nelle aziende bancarie...), la vede così: «Aspettiamo un nuovo piano dai vertici di Bpvi e, obiettivamente, ci aspettiamo che sia pesante. Detto questo, sia chiaro che non saremo disponibili a far pagare ai lavoratori della banca le colpe che sono evidentemente di altri».
Dove passa il confine tra il negoziabile e l'inaccettabile, in materia di esuberi? Ancora Xausa: «Se si parla di un fondo volontario, e sottolineo volontario, per gli esodi, allora possiamo anche ragionare. Se invece qualcuno pensa di procedere con licenziamenti collettivi o simili, sappia che si ritroverà in strada a protestare tutti i bancari del Veneto, e non solo del Veneto». Perché, fa notare il rappresentante della Fabi, in questa partita qualsiasi pertugio che si apra per gli esodi forzati rischia di trasformarsi rapidamente in una voragine: «Tra Bpvi, Veneto Banca e il sistema della Bcc, soltanto nella nostra regione le prospettive sono pesantissime. Ma, prima ancora di affrontare questo tema - avverte Xausa -, noi vogliamo ragionare con la direzione di Vicenza su come intendano tornare a fare banca e a recuperare la fiducia della clientela. Perché, senza queste due condizioni, restiamo senza banca, altro che storie».
L'altro spettro che si aggira lungo l'asse sindacale tra Vicenza e Montebelluna, è quello della fusione tra i due istituti di credito. Massimo Masi, segretario generale della Uilca, ieri ha ribadito la linea, dopo avere letto le dichiarazioni possibiliste dei presidenti Gianni Mion e Beniamino Anselmi: «Al momento non vedo alcuna possibilità di fusione, un'ipotesi che creerebbe macelleria sociale tra i dipendenti, a causa della sovrapposizione delle filiali e delle due direzioni generali, e un danno anche alla clientela, poiché i finanziamenti alle imprese potrebbero ulteriormente diminuire rispetto alle attuali somme affidate».
Sì, piuttosto, a uno stretto raccordo tra i due istituti, che appare logico e inevitabile visto che la proprietà è la stessa. «Sarebbe più opportuno - suggerisce Masi - procedere sulla strada del risanamento delle due banche venete, e solo successivamente aggregarsi ad altri istituti più solidi e con un progetto industriale definito». Come dire: l'unione tra due debolezza genera una debolezza più grande.
di Alessandro Zuin da il Corriere del Veneto
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