Expo, parco a tema di durata temporanea
Mercoledi 29 Aprile 2015 alle 21:10 | 0 commenti
Expo o Expò, per dirla alla francese è una enorme fiera di durata prolungata, o se si preferisce, un parco a tema di durata temporanea. Certamente questo appuntamento animerà il dibattito fino all’autunno. Quale Paese da principio abbiamo preferito far emergere gli aspetti di legalità che sempre accompagnano i grandi eventi in Italia, con l’inevitabile strascico di polemiche e indignazione che riecheggiano nel Gattopardo "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi".
Anche per Expo tutto rimane sul livello della diffusa, insistente illegalità . In termini immaginifici saremo invece capaci di garantire la spettacolarità e il buon gusto che, riconosciamolo, è nella nostra tradizione colta. Design e tangenti accompagnano da queste parti del mondo il matrimonio con delitto alla Agatha Christie. Expo diventa l’ultima occasione nel tempo per ribadire le zone d’ombra tra il settore pubblico e il privato, che assumono qui evidenza internazionale offrendo l’impressione, per chi ha coscienza critica, che serva la vergogna collettiva per cercare di essere speciali. Non fossimo stati reduci da pochi anni dai mondiali di nuoto di Roma, con opere faraoniche promesse (e finanziate) per usufruire infine di impianti di epoca mussoliniana, o ricordando le carcasse distribuite nei luoghi delle olimpiadi invernali di Torino che dichiarano come, a luci spente, il Paese abbia tutto l’interesse di non lasciare beni durevoli che diventino patrimonio collettivo. Quando ognuno dei padiglioni che espongono i 140 paesi partecipanti, per 1,1 milioni di metri quadri di un barracuda (questa la forma dall’alto) di prefabbricati, saranno smontati dalle singole nazioni, che resterà di questo Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita? Al Paese rimarrà l’orgoglio di aver collaborato alla globalità con un’esposizione universale capace di parlare di Italia un po’ come la vedono i non italiani, ovvero col cibo, ma anche di aver consolidato le connessioni con i paesi che hanno da dire la loro parlando di cibo. Cibo che non è solamente il nutrirsi. Cibo è coltivare, è il rapporto tra i singoli produttori, spesso micro, in un contesto globale macro. Mangiare è un diritto, prima che una necessità , che tuttavia non è garantito ad almeno un quinto della popolazione mondiale. E poi potremmo parlare di equilibri idrici, oltre che sociali, sempre di più l’uno causa dell’altro. Chi ha occhi per guardare saprà che nel mondo ci sono donne come Vandana Shiva che lottano per insegnare ai poveri dell’India a coltivare senza chimica, ricavando i semi dalle proprie piante, e in tal modo educare il territorio e i propri figli a sopravvivere nel futuro. Conosciamo da tempo le questioni legate alla genetica delle piante e delle sementi, i vituperati OGM e, per i più radical chic, terremo a mente la coscienza di una “impronta ecologica†che ogni umano affonda nel mondo che è anche degli altri. Sapremo immaginare il futuro di una Unione Europea che mette al bando pesticidi ma anche prodiga di assistenzialismo ad un’agricoltura che non riesce a competere sempre con i produttori di monoculture. Che ne sarà delle nazioni acquistate dai paesi ricchi, come riserve di territorio per i propri granai? Expo Milano 2015 sarà l’occasione per suggestioni complesse, per sperimentare la distribuzione alimentare del futuro, ovvero “come faremo la spesa tutti i giorni?â€. Avremo modo anche di interrogarci, da visitatori, sulle nostre colpe di consumatori e di inquinatori, magari con la voglia di trasmetterlo alle future generazioni. Creando massa critica dunque. Da molte parti sale l’insofferenza per la presenza di Coca Cola e Mc Donald’s tra gli sponsor principali. Consideriamoli almeno come un’utile confronto, per evidenziare a noi e agli altri quale sia la strada da seguire per mangiare bene, usando le nostre scelte per premiare chi fa meglio. Da italiani dovremmo indignarci prima di una pizza surgelata offerta al turista di fronte al Pantheon, piuttosto che del junk food americano che almeno qualche volta, da adolescenti, abbiamo scelto in qualche capitale del mondo. Invitiamo piuttosto le nostre industrie dolciarie o alimentari a bandire certi componenti o conservanti che la cultura del cibo può riconoscere, e atteniamoci alle regole della dieta mediterranea, quella consacrata dall’Unesco e che unisce le sponde del mare nostrum. Il “consumatore italianoâ€, va ricordato, resta il più consapevole al mondo stando alle ricerche di mercato, e le nostre terre accolgono realtà come ALMA - La Scuola Internazionale di Cucina Italiana ospitata alla reggia di Colorno, o la FAO, organismo delle Nazioni Unite che si occupa dei temi della nutrizione in modo permanente. Dal primo maggio al 31 ottobre ogni visitatore potrebbe entrare ad Expo, con la curiosità di chi si approccia per la prima volta ad un appuntamento di questo tipo, con il desiderio anche di capire cosa significhi essere globali in fatto di cibo. Siamo gli italiani della tradizione, che mangia i pomodori delle americhe, gli spaghetti dei cinesi ed esalta il baccalà norvegese. I più giovani sono gli interpreti di una generazione di cuochi dilettanti e conoscitori di vino come non si vedevano dai tempi delle mamme e delle nonne cuoche, pronte a deliziare le famiglie di una società più tradizionale rispetto oggi. Eppure sono segnali, complici le TV tematiche e siti dedicati, di una voglia di fare e mangiare cibo, di convivialità che si ramifica in una maggiore attenzione per lo sport, per i sempre crescenti problemi legati alla celiachia e alle intolleranze, e a quanti scelgono il vegetarianismo o il vegan quale stile di vita e di amore verso gli esseri viventi. Come non far caso anche al “gender†maschile dei cuochi, che ha spodestato definitivamente le signore divenendo la nuova star dei fornelli e nuovo modello metro-sessuale nei desideri femminili, scalogno a parte. Expo quindi per un confronto, non semplicemente come attrazione spettacolare, come luci e suoni nel fortino pattugliato dal terrorismo internazionale. Arena di dibattiti, naviglio che scorre lento nell’interrogativo di conciliare una popolazione in continua crescita e un mondo da coltivare in scarsità di risorse idriche. Anche se tutto questo ricorda la Disneyland dei paesi ricchi o il pretesto di una vacanza tra le meraviglie della Lombardia. Fu l’Inghilterra vittoriana del 1851 ad inaugurare un’esposizione “universale†che divenne appuntamento ciclico per consolidare ed esporre il potere industriale della nazione, con il celebre Crystal Palace di Joseph Paxton, che aprì il mondo a rivoluzioni architettoniche montate su prefabbricati, vetri e velocità crescente delle costruzioni. Una su tutte la Torre Eiffel. E da lì un continuo mostrare i muscoli di tutti i paesi industrializzati, Francia e Germania in testa, poi Stati Uniti, Belgio e così via. Come italici siamo riusciti invece ad abbinare alle strutture innovative della nostra industria, l’inguaribile tendenza alla confusione burocratica, alla corruttela maccheronica gettata in piazza tra beghe di partiti o magistrature rivali, con la consueta inettitudine nell’organizzazione che caratterizza l’operato pubblico di questi appuntamenti. In questo clima Milano torna protagonista e sintesi di questo paese. In fondo, quale città più indicata per Expo? Comunità di grande tradizione e bellezza, che riesce a rinascere dalle ceneri di ogni guerra o cambiamento sociale con velocità e qualità europee, garantendo il proprio benvenuto a chiunque. Sarà lei l’occasione vera per interrogarsi su questo Paese, replicando il successo dell’esposizione dei trasporti del 1906 dedicata al neonato traforo del Sempione, all’epoca una meraviglia dell’ingegneria. Se non tutto ci sembrerà all’altezza va ricordato l’interesse di pubblico per il padiglione Italia all’Expo di Shangai nel 2010, il più visitato tra quelli stranieri. Se per noi Expo è orgoglio e pregiudizio dei nostri difetti, per tanti mondi lontani rimaniamo noi l’idea di cibo, e di paesaggio ad esso legato, che va imitato. Il nostro talento dovrà scaturire nel saperci difendere dalle imitazioni dei nostri monumenti culinari, come il Parmigiano o l’Amarone, la pizza o il gelato, e insegnare ai curiosi che l’italian style è un crimine contro il patrimonio di un popolo. Diciamolo con simpatia, con la sprezzatura che comunica il nostro modo di vivere, insuperabile e arcaico allo stesso tempo. Ma prima di insegnarlo capiamolo per primi, difendendo i territori di questi “expo millenari†che hanno accolto e elaborato prodotti e abitudini di paesi distanti per abitudini. Questo è il messaggio che il Fai, Fondo Ambiente Italiano inserirà , con una scia di immagini dei Luoghi del Cuore scelti dagli stessi innamorati della propria unicità . Confartigianato Vicenza ci fornisce i dati per comprendere quale sia la consistenza imprenditoriale ed economica del Veneto, nei settori che troveremo ad Expo. Il 2014 rivela che le imprese artigiane e le esportazioni del settore alimentare valgono ben 4480 milioni di euro e sono in aumento del 3,7% rispetto al 2013. L’intera regione può contare su 6667 imprese del settore alimentare, delle quali 1053 vicentine, in un panorama nazionale di 90980 imprese (Elaborazione Ufficio Studi Confartigianato Vicenza su dati Unioncamere-Infocamere per il III trimestre 2014).
(Nella foto Vandana Shiva)
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