"Si tratta anche di una grande soddisfazione personale visto che l'ex Zambon è stato il primo intervento di cui mi sono occupato per il settore ambiente...in questo caso c'è stato un rapporto pubblico-privato che dovrebbe essere preso come esempio in Italia." A mettere il cappello sull'inizio dei lavori nell'area dell'ex area industriale e l'assessore Marco Antonio Dalla Pozza. Dopo l'ingresso delle ruspe nello spazio di oltre 30 mila metri quadri di via Cappuccini, la città vede la luce fuori dal tunnel: si tratta infatti della fine di una storia iniziata oltre tre decadi fa e che, forse, è arrivata a conclusione. I dubbi però restano e alcuni comitati di quartiere sono sul piede di guerra. Difficile capire chi ha vinto la lunga lotta tra pubblico e privato.
La questione Zambon inizia nel 1981, quando gli stabilimenti dell'azienda diventano proprietà del Comune. Il gigante vicentino sposta, infatti, il suo quartiere generale in zona Ovest. Lo spazio tra via Cappuccini e Monte Zovetto può essere riutilizzato, si tratta di circa 30 mila metri quadri. Il costo dell'operazione è di oltre un miliardo delle vecchie lire. Soldi ben spesi, si pensò in città . La posizione strategica, a ridosso del centro, la presenza di altri spazi convertibili nella zona, potevano fare dell'ex Zambon il primo lotto di una nuova Vicenza. Un concetto che nonostante le prime difficoltà è stato ribadito più volte dalle diverse amministrazioni cittadine. Il mercato immobiliare, all'epoca in costante crescita, ancora nel 1999, stimava per quei terreni un valore di circa 3 miliardi del vecchio conio. Tuttavia, citando Shakespeare: "C'è del marcio in Danimarca".
Nel 1993 la prima tegola sul progetto. Palazzo Trissino da il via alla costruzione di 52 alloggi comunali, finanziati anche dalla regione, ma i carotaggi danno esito negativo: sotto terra ci sono sostanze contaminanti e fusti potenzialmente pericolosi. Tutto fermo e tra verifiche sequestri, e battaglie in aula trascorrono gli anni, decenni, senza che all'ex Zambon si possa fare qualcosa. L'affare d'oro diventa un pozzo senza fondo che mangia risorse pubbliche. Nel 2012, sentenzia il Giornale di Vicenza (in un articolo di Luciano Parolin): "L'area non bonificata vale zero".
La luce fuori dal tunnel: vincitori e vinti.
Il 13 settembre 2016 l'azienda farmaceutica Zambon annuncia che Arcadis Italia si è aggiudicata l'appalto di 10.609.755 euro per la bonifica. Pochi giorni fa ecco partire i lavori che dureranno per almeno altri tre anni. Una vittoria per la Giunta Variati. All'uomo della strada resta, però, il dubbio che si tratti della solita impresa di Pirro. Impossibile infatti quantificare con certezza quanto il giochino sia effettivamente costato alle casse comunali, né quali saranno i guadagni della Zambon per il terzo degli spazi che si è riconquistata con l'accordo per la bonifica. Tre lustri sono troppi per una stima accurata e andando oltre i costi vivi, andrebbero tenute conto delle perdite del potenziale non sfruttato di quell'area, che nel frattempo ha cambiato destinazione d'uso. L'intesa tra Comune e privati, la stessa Zambon che si è fatta carico dei 24 milioni di euro necessari per la bonifica, prevede ora la divisione in tre macro aree della zona: un parco, un parcheggio e degli alloggi di pregio. Questi ultimi ad uso e consumo del gigante farmaceutico. Niente a che vedere con le case Ater inizialmente previste. L'accordo firmato nel 2013 prevedeva anche l'abbandono di Zambon della lunga contesa legale aperta con il Comune per definire chi avrebbe dovuto provvedere alle bonifiche.