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Ettore Beggiato all'approssimarsi della consultazione referendaria del 22 ottobre ci ricorda il voto beffa di annessione del Veneto all'Italia del 1866

Di Note ufficiali Martedi 17 Ottobre 2017 alle 18:22 | 0 commenti

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Riceviamo da Ettore Beggiato, ex consigliere regionale del Veneto, venetista e tra l'altro anche autore di "1866:la grande truffa. Il plebiscito di annessione del Veneto all'Italia", la seguente nota provocatoria che pubblichiamo: "Il plebiscito che sancì l'annessione del Veneto all'Italia viene liquidato dai nostri libri di storia in poche battute visto che la storiografia ufficiale sostiene che "tutto si svolse con mirabile ordine e fra universali manifestazioni di gioia". Pochi sanno che in realtà fu una colossale truffa, la prima di una serie infinita di truffe perpetrate dall'Italia ai danni dei Veneti: sono i documenti che denunciano tutto questo."

"Ecco - continua la nota - quanto scrive la "Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia" stampata a Firenze il venerdì 19 ottobre 1866: Al Presidente del Consiglio dei Ministri è pervenuto oggi alle ore 10 ¾ antimeridiane il seguente dispaccio da Venezia: "La bandiera Reale italiana sventola delle antenne di piazza San Marco, salutata dalle frenetiche grida della esultante popolazione. Generale Di Revel". I Veneti vanno a votare domenica 21 e lunedì 22 ottobre quando tutto è già stato deciso, visto che due giorni prima del voto, il Veneto era già stato annesso al Regno d'Italia! Riepilogando: un trattato internazionale (fra Austria e Prussia, 23 agosto a Praga) prevede il passaggio del Veneto alla Francia che poi lo consegnerà ai Savoia; nel trattato di pace di Vienna fra l'Italia e l'Austria del 3 ottobre si parla testualmente di "sotto riserva del consenso delle popolazioni debitamente consultate": un riconoscimento internazionale al diritto all'autodeterminazione del popolo veneto che in quel momento ha la sovranità sul suo territorio."

"Teniamo anche presente - prosegue Beggiato - che c'è stata l'ipotesi, come scrisse l'ambasciatore asburgico a Parigi Metternich al suo ministro degli esteri Mensdorff-Pouilly il 3 agosto 1866, di arrivare a "l'indipendenza della Venezia sotto un governo autonomo com'era la vecchia Repubblica". Il plebiscito avrebbe dovuto svolgersi sotto il controllo di una commissione di tre membri che "determinerà, in accordo con le autorità municipali, il modo e l'epoca del plebiscito, che avrà luogo liberamente, col suffragio universale e nel più breve tempo possibile". Così era stato concertato dall'ambasciatore d'Italia a Parigi Costantino Nigra con il governo francese che sembrava determinato a svolgere fino in fondo il proprio ruolo di garante internazionale sancito anche dal trattato di pace fra Prussia e Austria.
Il governo italiano invece, e in particolare il presidente Bettino Ricasoli interpretava pro domo sua i trattati: "Quando si tratta del plebiscito si tratta di casa nostra; non è già che si faccia il plebiscito per obbedienza o per ottemperare al desiderio di qualche autorità straniera..... La pazienza ha il suo limite. Perbacco!". E così uno sconsolato generale Le Boeuf scrive a La Valette il 15 settembre:
"Nutre inquietudini per l'ordine pubblico: le municipalità fanno entrare le truppe italiane o si intendono col re, che governa una gran parte: egli deve lasciar fare. Il plebiscito non si potrà fare che col re e col governo." Altro che controlli, altro che garanzie internazionali!"

"Lo stesso generale Le Boeuf - sottolinea la nota - annunciava il 18 ottobre a Napoleone III di aver protestato contro il plebiscito decretato dal re d'Italia, ma Napoleone gli dice di lasciar perdere. La Francia praticamente rinuncia al proprio ruolo di garante internazionale e consegna il Veneto ai Savoia. E così i veneti vanno a votare il 21 e 22 ottobre tra minacce, intimidazioni, brogli inenarrabili: i SI sono 641.758", i NO 69 e ci sono 273 nulli: i voti favorevoli sono attorno al 99,99 %: una percentuale che non fu ottenuta neppure dai regimi più feroci. Di sicuro il plebiscito venne "preceduto da una vera campagna di stampa intimidatoria dei fogli cittadini, preoccupatissimi per l'influenza che il clero manteneva nelle zone rurali". Si scriveva ad esempio "ricordino essi (i Parroci e i Cooperatori dei nostri villaggi) che ove in alcuna parrocchia questo voto non fosse sì aperto, sì pieno quale lo esige l'onore delle Venezie e dell'Italia, sarebbe assai difficile non farne mallevadrice la suddetta influenza clericale, e contenere l'offeso sentimento nazionale dal prendere contro i preti di quelle parrocchie qualche pubblica e dolorosa soddisfazione."
"Sulla libertà del voto e sulla segretezza dello stesso - conclude l'ex consigliere regionale - ci illumina la lettura di "Malo 1866" di Silvio Eupani: "Le autorità comunali avevano preparato e distribuito dei biglietti col si e col no di colore diverso; inoltre, ogni elettore, presentandosi ai componenti del seggio, pronunciava il proprio nome e consegnava il biglietto al presidente che lo depositava nell'urna". Va ribadito che il cosiddetto risorgimento fu nel Veneto un momento al quale la stragrande maggioranza del nostro popolo partecipò con grande indifferenza. E questo ce lo conferma lo storico scozzese Denis Mack Smith che scrive "Garibaldi si infuriò perchè i Veneti non si erano sollevati per conto proprio, neppure nelle campagne dove sarebbe stato facile farlo". E quasi subito i veneti si accorsero di aver solamente cambiato padrone...ecco quanto scrive l'Arena il 9 gennaio 1868: "Fra le mille ragioni per cui noi aborrivamo l'austriaco regime, ci infastidiva sommamente la complicazione e il profluvio delle leggi e dei regolamenti, l'eccessivo numero di impiegati, e specialmente di guardie e di gendarmi, di poliziotti, di spie. Chi di noi avrebbe mai atteso che il governo italiano avesse tre volte tanto di regolamenti, tre volte tanto di personale d pubblica sicurezza, carabinieri, ecc."



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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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