Economia, conti pubblici: statistica, come ingannare coi numeri
Domenica 20 Febbraio 2011 alle 00:15 | 0 commenti
Rassegna.it - Gli espedienti per abbellire la realtà sono praticati da quasi tutti i governi, ma mai in misura così massiccia come nel nostro caso. Alcuni dei trucchi usati più di frequente, di fronte ai quali i mezzi di informazione sono indifesi
di Valerio Selan, eguaglianzaeliberta.it
Avevamo da tempo sottolineato il clima di pesante controllo dell'informazione con occultamento delle notizie sfavorevoli ed esaltazione di quelle favorevoli all'azione del governo e più in generale per indurre positive aspettative nei confronti dell'evoluzione della congiuntura italiana. Espediente, per la verità , praticato da quasi tutti i governi, ma mai in misura così massiccia, tranne che nei regimi totalitari. Lo stesso presidente del Consiglio in una delle sue frequenti esternazioni, ha teorizzato questo tipo di distorsione informativa dichiarando che "i pessimisti non concludono mai niente di buono". Se non si fosse interrotto un pluridecennale sodalizio, avrebbe forse auspicato di "gettare il cuore oltre gli ostacoli".....
Parte di queste distorsioni discendono dall'impiego inappropriato delle statistiche. La Statistica, come altre discipline basate su metodi matematici, è strumento molto delicato da gestire quando viene impiegato nell'analisi di fenomeni socio-economici. Gli errori a cui può dare origine sono imputabili a: 1) incompletezza dei dati; 2) comparazione inappropriata; 3) aggregazione di grandezze non omogenee; 4) mancata valutazione delle dimensioni relative del fenomeno; 5) scarsa significatività del campione di indagine; 6) sondaggi pilotati, dove il fattore distorsivo consiste nella formulazione delle domande; 7) tentazione, a cui soggiacciono tutti coloro che usano la statistica nelle più diverse discipline - ad accettare acriticamente l'errata correlazione del "post hoc ergo propter hoc". A ciò si aggiunga il fatto che i produttori di statistiche sono diversi ed hanno criteri metodologici ed anche interessi (palesi o occulti) spesso divergenti. Gli inganni dell'informazione statistica possonio essere frutto di un'accorta propaganda; ma possono anche dipendere dalla frettolosa trasmissione di notizie di agenzia, in assenza di quella mediazione culturale che un tempo era svolta da una classe giornalistica professionalmente preparata.
Ci limiteremo a segnalare qualche esempio degli inganni, più o meno voluti, di cui stiamo parlando, che possono avere gravi effetti sulla comprensione dell'andamento di fenomeni economici e finanziari da parte di un pubblico non specialistico.
Sulla incompletezza dei dati è significativo il dibattito sul livello di disoccupazione. Il dato fornito dal governo è 8,7%: ciò consente ai trombettieri del regime di affermare che è pur sempre inferiore al 10,1% della media comunitaria. La traduzione in termini paludati di questa tesi è "in terra caecorum orbus rex" e in termini popolareschi "c'ariconsolamo co' l'ajetto". Tale affermazione risulta smentita se l'informazione viene completata dalle percentuali di Cassa Integrazione e di "scoraggiati" (coloro che non cercano più lavoro perché ritengono la ricerca stessa inutile). Otteniamo allora quell'11% su cui concordano sindacati e confindustria, largamente superiore alla media europea.
La comparazione inappropriata si ha molto spesso con i dati del Pil e della produzione industriale: essi sono forniti in percentuale di incremento non rispetto al picco precedente (in ambedue i casi coincidente con il secondo anno del governo Prodi) ma all'anno appena trascorso, comparandoli così ad una piattaforma particolarmente bassa. In tal modo risulterebbe un aumento dell'1% del Pil e del 17% della produzione industriale, dimenticando volutamente che il Pil è ancora a meno 5% rispetto al 2008 e che la produzione industriale rappresenta l'80% del livello dello stesso anno (che non era, comunque, granchè). Talora l'incompletezza dell'informazione si aggiunge alla comparazione inappropriata: ad esempio, a novembre il fatturato industriale rispetto al 2009 è sceso al 12%, mentre gli ordinativi hanno segnato un tonfo del meno 4%: sintomi di rallentamento e non di sviluppo.
L'aggregazione e presentazione di dati non omogenei genera altri equivoci. Secondo il Tesoro il gettito fiscale sarebbe aumentato dello 0,7%, ma la Banca d'Italia dice che è diminuito dell'1,04%. Bisognerebbe spiegare che il Tesoro fornisce dati "di competenza" (quel che si ha il diritto di incassare) e la Banca d'Italia quelli "di cassa" (ciò che si è incassato davvero).
Sulla mancata valutazione dell'ordine di grandezza ci siamo soffermati altre volte. Basti pensare agli entusiasmi con cui si salutano manovre di un miliardo di euro che rappresentano grosso modo lo 0,6 per mille del Pil.....
La scarsa significatività dei campioni può derivare o da una loro costruzione sbagliata o dal fatto che le percentuali rese note si riferiscono solo alle risposte ricevute, ignorando quelle dei "non so" o "non risponde" che però possono essere molto significative. Un esempio preclaro di errata interpretazione dei dati di un sondaggio risulta dalla notizia apparsa su Televideo Rai del 17 gennaio 2011, sotto il titolo "cauto ottimismo sulla ripresa". Alla domanda sulla previsione dell'andamento congiunturale del 2011 rispetto al 2010, il 19% ha risposto migliore, il 33% peggiore, il 48% eguale. Poichè il 2010 è stato un anno di recessione, si dovrebbe dedurre che l'81% degli intervistati pensa che quest'anno andrà male o addirittura peggio. Definire questo "un cauto ottimismo" è come affermare che un suicida è in sostanza un buontempone.
Molti sondaggi sono condizionati o perché le stesse domande assumono significati diversi per interlocutori diversi, o perché le alternative prospettate restringono in modo radicale il campo delle scelte. Si pensi al referendum di Mirafiori.
Talora i dati dovrebbero riferirsi ad archi temporali più lunghi. Pensiamo al commercio estero, i cui dati mensili possono essere erratici o ai flussi di finanza pubblica, influenzati da anticipi o posticipi (talora voluti) di pagamenti o incassi. Ricorderete che i dati del primo semestre del Pil spinsero i pretoriani del governo a ipotizzare per fine anno un aumento dell'1,2%, che puntualmente non si è verificato. Riprendendo il discorso dell'ordine di grandezza, non si è spiegato che il miglioramento del 3 per mille del rapporto deficit/Pil era più che compensato dall'incremento del 3% del rapporto debito/Pil. Tanto è vero che i tassi sui Bot sono aumentati e, quindi, incideranno sul deficit del 2011, anno in cui vanno rifinanziati 400 miliardi circa di titoli pubblici.
L'uso delle correlazioni improprie, come il post hoc ergo propter hoc, è abbastanza comune e consiste nell'attribuire un certo effetto ad una causa che per la verità è soltanto precedente. Ad esempio, l'aumento del flusso turistico non sembra connesso con le invenzioni informatiche della signora Brambilla, ma è invece correlato alle fluttuazioni dell'euro ed all'ampliarsi di classi mediamente agiate in alcuni paesi emergenti. Il rischio di false correlazioni si può evitare affidando il compito della valutazione, di volta in volta, a competenti settoriali, come medici, economisti, ingegneri, da affiancare all'operatore statistico.
Concludendo, si può affermare che l'insidia nascosta nell'impiego dello strumento statistico consiste proprio nella sua logica matematica formale, che può occultare errori di valutazione a monte o a valle: come ben sapevano i sofisti greci.
Post scriptum
Si può misurare un sogno?
Il 22 gennaio scorso Walter Veltroni ha proposto al Lingotto un programma economico per il Pd, con quella carica emotiva che è nelle sue corde e con un'enfasi retorica tra "I have a dream" e la Terra Promessa (dalla Bibbia a Ramazzotti). I guru di quei giornali che invocano ogni giorno un progetto economico del Pd si sono chiusi in un silenzio tombale. Eppure vi sono molti spunti per un dibattito approfondito: si propone infatti la riduzione del debito pubblico all'80% del Pil, una patrimoniale triennale, l'abolizione del precariato con contratti alla Ichino, una S.p.A. per gestire il patrimonio pubblico, sgravi anche alle partite Iva, no-tax area per le famiglie, abolizione di province e città metropolitane, aumento della spesa pubblica limitato alla metà dell'incremento del Pil.
E' mancata - anche se forse esiste un documento tecnico, non reso pubblico - la quantificazione delle proposte. Donde il quesito: si può misurare un sogno? Tentiamolo, in estrema sintesi.
Per ridurre all'80% il rapporto debito/Pil occorrono 750 miliardi di euro; il dimezzamento del ritmo di aumento della spesa pubblica rispetto all'incremento del Pil nominale potrebbe fornire 20 miliardi l'anno a pressione fiscale immutata (ma occorrerebbe detrarre gli sgravi). Al 2020 potremmo forse arrivare a 200 miliardi.
La patrimoniale (su cui già si sentono i brontolii di Casini) non può essere troppo gravosa, anche perché molti patrimoni non sono fruttiferi (per non creare perdite di ricchezza, le patrimoniali si pagano con il reddito). Calcolando il 2% per tre anni - o, meglio, un 1% per cinque - e calcolando prudenzialmente 4.000 miliardi di patrimonio privato, otteniamo 200 miliardi circa. L'abolizione delle province frutta poco; si otterrebbe di più dimezzando il numero dei Comuni ed estirpando la moltitudine di faccendieri che prospera nel sottobosco della politica. Ma oltre i 50 miliardi non si va.
Rimane la Patrimonio S.p.A, vecchio cavallo di battaglia di Prodi e di Tremonti. Se questa S.p.A fosse redditizia e se il ricavato delle emissioni fosse utilizzato per rimborsare il debito pubblico o se le quote azionarie potessero essere pagate in Bot, si otterrebbe quello che, nei manuali di Scienza delle Finanze dell'800, si chiamava "consolidamento del prestito pubblico", trasformato in rendita perpetua, con capitale non più rimborsabile, se non all'atto dello scioglimento della S.p.A.
La fattibilità di azioni così complesse è tutta da dimostrare: purtroppo le aride cifre stanno ai sogni come gli spilli ai palloncini.
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