Je suis Charlie, ma è vietato parlarne: un socio del Cineforum di Breganze strappa la tessera
Giovedi 8 Gennaio 2015 alle 08:40 | 0 commenti
 
				
		
Lettera aperta di Davide Fiore sulla libertà di pensiero e sulla libertà di espressione
Gentile giornalista, cittadino, amico,
scrivo questa lettera per fartela arrivare, nella libertà che appartiene ad ognuno di leggerla, commentarla o cestinarla. Il mio intento non è necessariamente di vederla pubblicata, ma di condividere una mia esperienza di oggi (7 gennaio, ndr), alla luce della tragedia avvenuta a Parigi, con l'attentato alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo. Grazie comunque per la tua pazienza.
Partecipo come spettatore al Cineforum di Breganze, una delle  tantissime associazioni italiane che svolge un ruolo di diffusione della  cultura, quindi di confronto. Chi vi partecipa è un socio, pertanto  soggetto ad uno statuto che prevede l'interazione attiva dei suoi  sottoscrittori. È successo a Breganze, piccolo comune in provincia di  Vicenza, ma poteva accadere ovunque. Ad un'ora dall'inizio del film  settimanale ho telefonato al numero dell'associazione che organizza il  Cineforum, per chiedere di riferire al presidente di poter parlare tre  minuti al massimo al cospetto dei presenti, prima della proiezione. 
Quanto  accaduto oggi a Parigi è il primo caso di attentato terroristico in  Europa dalla morte di Bin Laden. È accaduto in Francia, ma Parigi e  tutte le capitali d'Europa sono la nostra capitale di europei. Parigi è  anche il simbolo dell'illuminismo, dell'enciclopedia, del confronto  onesto tra pensieri uguali e diametralmente opposti. Questa è la cultura  da cui veniamo, in cui cresciamo. Parigi siamo noi.
Ho sottolineato  brevemente all'interlocutore che una serata di questo tipo non poteva  iniziare come se nulla fosse accaduto. L'ho rassicurato del fatto che  nessuno si sarebbe dovuto preoccupare di quell'intervento. Avrei parlato  di libertà di espressione, di stampa, di critica. E che il cinema  stesso è una di queste forme di libertà, e che molti dei registi che  negli anni hanno raccontato anche qui una loro storia avevano un passato  di esuli, di ricercati, di perseguitati. Ironia della sorte questa sera  il film parlava di mafia, l'altro grande male di questa Europa. 
Dovevo  essere ricontattato in pochi minuti ma così non è stato. Arrivato al  cinema ho ritelefonato chiedendo di parlare con il presidente, cosa che  mi è stata negata. Ho detto al mio interlocutore che riferisse che avrei  chiesto a tutti di alzarsi per un minuto di silenzio, che era il minimo  che anche noi presenti potevamo condividere con gli amici francesi, che  questa sera riempiono le loro piazze. Ho rassicurato sul fatto che non  sono un partito, non sono un giornalista, non sono uno che è contro  qualcuno, ma un cittadino e un socio che vuole unirsi ai presenti per  tre minuti di riflessione sulla libertà di espressione, con semplicità.  Mi è stato risposto che "certe cose vanno discusse prima, che è il  direttivo dell'associazione a decidere". Ho ribattuto allora che "è  successo oggi, che certo non potevo chiederlo i giorni precedenti...".  Aggiunsi che qualche volta ci si può fidare, che almeno il presidente  stesso poteva introdurre un minuto di raccoglimento. Anche questo è  caduto nel silenzio, con la sola risposta che "questo non è il luogo  adatto per...".
Signor presidente del Cineforum di Breganze, mi permetta indirettamente di farle arrivare queste parole, esattamente quelle che avrei condiviso con un consenso di associati, ma che avrei anticipato a lei prima che al pubblico, se avesse cercato quantomeno un contatto telefonico o di persona. Mi auguro che le mie parole servano a farla riflettere, per capire che il mondo non ce l'ha con lei.
«Noi  siamo figli del Rinascimento, di una rivoluzione inglese, di una  francese, dell'illuminismo e del risorgimento. Siamo figli di errori  come le crociate, di mostruosità come i fascismi, la mafia, i campi di  concentramento, le armi chimiche e le mine antiuomo. Ma siamo un popolo  di popoli, siamo europei, figli della libertà di espressione, delle  conquiste scientifiche e tecnologiche. Noi abbiamo dentro il confronto,  siamo liberi pensatori che talvolta ignorano comodamente chi è morto o  si è battuto per queste libertà. Persino le nostra tolleranza e  intolleranza sono figlie di queste conquiste, abbiamo chiaro il concetto  di evoluzione, di parità di genere, di diritto civile, di legge uguale  per tutti, di diritti umani e abbiamo abolito la schiavitù,  anche nei  casi in cui siamo in ritardo come nazione. 
Siamo nipoti di due  guerre mondiali, figli dell'inquinamento e delle stragi, ma abbiamo  modelli alti, da Marco Polo a Federico II, dai garibaldini ai  partigiani, da Giuseppe Verdi a Federico Fellini fino ai nostri premi  Nobel o al mondo del volontariato. Non ultimo avrei chiesto a titolo  personale di godere di quel film, perché partecipare, ridere, leggere,  conoscere e criticare è lo specchio di quella lunga evoluzione culturale  che ci rende europei» 
La sua associazione dice che "questo non è  il luogo adatto"? Nella nostra Europa le coscienze sono germogliate e  fiorite anche nei circoli culturali, nei bar, nei salotti letterari.  Quale luogo più adatto quindi per riflettere insieme, per unirsi alle  piazze francesi ed europee che questa notte dicono di no al fascismo  culturale, no alla negazione della libertà di critica, si al confronto,  alla crescita, si alla forza di una comunità. È la nostra stessa  Costituzione che lo garantisce, e che lei sia Presidente di una  Repubblica, o di una associazione culturale, il suo dovere è anche  questo.
Ha fatto spegnere le luci in sala, non una battuta, solo il  fastidio di un confronto. La parola scomoda è stata da lei bandita,  perché forse nel silenzio serpeggiano le paure di ognuno di noi, adulti o  bambini. Non una telefonata per capire meglio. Sono sceso in  biglietteria, l'ho vista e ho avuto il piacere di tagliare in due la  tessera dell'associazione che lei presiede e mettergliela in mano. Lo  farò solo io, ne stia certo, ma sono sollevato che lei possa tenerla in  tasca o gettarla. Leggerà il mio nome e si ricorderà di questa  spiacevole vicenda. Lei maneggia uno strumento di comunicazione, il  cinema, cerca nella prudenza la sfiducia di chi vorrebbe partecipe delle  sue attività. Spero che questa sera sarà lieto che qualcuno le abbia  detto che lei ha paura, che lei non si interessa della sua Europa. Anche  lei, Presidente, è coinvolto quanto me e tutti gli altri europei delle  conseguenze di questi attentati. Persino quelli indifferenti  dell'accaduto. Le prossime settimane ha in previsione il film di Ermanno  Olmi sulla Grande Guerra. Lasci perdere, mi creda, non è il caso. Sono  argomenti troppo scomodi per la memoria collettiva. Il rischio è che  qualcuno si accorga che esiste la storia. Questa sera lei ha reagito  impettendosi, quando mi ha visto scendere dalla scala, di lanciare la  battuta di sfida dicendo «bravo, bravo...» come fossi un nemico da  combattere. 
Tutto qui...? Peccato. 
Il suo ruolo può aspirare a  ben più composite reazioni, a saper mettere la faccia con chi,  garbatamente  e con spirito partecipativo, cerca di solidarizzare con il  suo stesso progetto, con un circolo culturale di paese. Vuole aumentare  la forza critica delle persone che invita e poi rifiuta la condivisione  di un pensiero, di un'emozione.
Auguro ogni bene a lei, ma  soprattutto a quanti, nelle azioni piccole o istituzionali perseguono i  fondamentali culturali di un continente politico, economico, sociale e  culturale. C'è da augurarsi che le generazioni più giovani siano  impavide, oltre che gelose, delle secolari conquiste di milioni di  pensatori. 
Ognuno di noi è un germoglio di memoria, pertanto di pace. 
Al bando il silenzio, almeno fino a quando non è preferibile al chiasso.
Davide Fiore
Cittadino europeo
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