Disunione nazionale
Domenica 9 Maggio 2010 alle 11:59 | 0 commenti
Ecco un'altra occasione per polemizzare. Già allergici alle feste nazionali del 4 novembre, 25 aprile, 2 giugno le celebrazioni del 150° dell'unità danno la stura ad ulteriori divisioni. A cominciare dal comitato dei Trenta preposto all'evento commemorativo dal quale perfino il presidente e si tratta nientedimeno che di Carlo Azeglio Ciampi si è dimesso seguito da altri componenti dello stesso comitato lamentando che l'organismo non aveva alcun potere e che perciò si poteva sciogliere. Qualche commentatore sostiene che tutto terminerà in "un derby fra nazionalisti fuori tempo e federalisti senza padri". Ha un bel daffare dunque il Presidente Giorgio Napolitano nel richiamare all'utilità di quelle celebrazioni di cui intanto ha dato il via dallo storico scoglio genovese.
Ma qual è lo stato dell'identità italiana; anzi c'è un'identità nazionale? La maggioranza sia pur tra i distinguo appare piuttosto asettica; più vivace una minoranza sprezzante e talora aggressiva che disdegna di parlare di quella roba lì - Risorgimento, patria, tricolore - solo un imbroglio retorico per allocchi. E' l'ora del federalismo fiscale, ciascuno padrone a casa propria, e dunque quell'unità imposta e posticcia allora, oggi non è neanche da nominare. Figurarsi festeggiarla. Eppure al di là di ciò che è accaduto, perché di questo si fa memoria, e diversamente da quanto secondo i gusti odierni piacerebbe fossero andate le cose, oggi c'è da chiedersi se vi è ancora una ragione che ci lega. Perché di questo si tratta e anzi ben vengano quelle celebrazioni se non altro perché ci offrono l'occasione per ripensare le scelte che stiamo per fare. Essere italiani non vuol dire unità nazionale intesa come centralismo prima sabaudo, poi fascista, poi partitocratrico ma quella, secondo la concezione degasperiana, di un'unità statale legittimata attraverso una catena di comunità che dalla famiglia, attraverso le autonomie locali, diventa comunità nazionale. Un impianto del resto tradotto nel testo costituzionale (art. 5) sul quale tutti, nazionalisti e federalisti sono chiamati a riflettere. Non è dunque un'invenzione della lega, anche se alla stessa va il merito di aver posto il problema. Più che una riforma regressiva si tratta invero di dare attuazione alla Costituzione. E se dunque il centralismo non ha mai avuto legittimità costituzionale, non c'è motivo per dividerci; anzi si deve ricostruire proprio quel carattere unitario che i vari centralismi avevano messo a rischio. In fondo, anche al di là dell'organizzazione politica che sembra costituire un ostacolo, la lingua, la cultura, le espressioni artistiche, il costume, non meno dei 150 anni di storia unitaria, costituiscono un patrimonio comune. Basterebbe questo per correggere, se fosse il caso, le deviazioni di carattere costituzionale. A ben vedere non c'è ragione per continuare nell'unitariamente divisi.
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