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Dieci anni di scommesse in città, da quando puntavano anche i giocatori del Vicenza Calcio

Di Enrico Soli (caporedattore) Domenica 3 Luglio 2011 alle 11:03 | 0 commenti

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Vite in gioco. Dieci anni di scommesse in città: dai tempi in cui puntavano anche i giocatori del Vicenza Calcio a oggi.

A Vicenza la prima agenzia di scommesse sportive aprì nel 2000 in Contrà Piazza del Castello e non rimase lì a lungo. A quei tempi non era difficile incontrare in sala il "Toro di Sora" Pasquale Luiso, all'epoca centravanti della squadra biancorossa in serie A. I luoghi di riferimento per gli scommettitori vicentini diventarono poi le agenzie di Corso Padova, viale della Pace e via Lanza.

Tra i frequentatori di Corso Padova tra il 2002 e il 2004 si ricordano l'ala destra Franco Semioli e il bomber Massimo Margiotta. In incognito? No, talvolta con tanto di tuta della squadra addosso! Si trattava comunque di cifre relativamente piccole, non paragonabili a quelle citate nello scandalo "Last bet". Per il calcio scommesse il "Gladiatore di Maracaibo" fu squalificato per quattro mesi nell'estate del 2007 e multato di 10 mila euro. Allora il procuratore federale della Figc deferì per responsabilità oggettiva anche il Vicenza Calcio. Nel luglio 2010 al Tribunale di Udine Margiotta veniva prosciolto per la prescrizione del reato di scommesse irregolari. Da qualche anno i calciatori non si fanno più vedere nelle sale da gioco. Ciò non significa che non puntino più, ma più probabilmente che mandano a giocare altre persone. Siamo in estate, ma le scommesse non si fermano mai. Ci sono ad esempio i campionati scandinavi su cui giocare. L'ultima grande fregatura per il popolo dei giocatori è arrivata lunedì 20 giugno: sulla serie B finlandese tutti a giocare la vittoria della capolista Pk-35 sul campo della cenerentola Espoo. Finisce invece 2 a 1 per l'ultima della classe. Si scatena la rabbia degli scommettitori, che sfocia nei soliti sospetti: "Quelle partite sono vendute perché nessuno le può controllare". Serie B finlandese: in effetti è come giocare al buio. Ma allora perché farlo? Per lo stesso motivo per il quale, ogni volta che scoppia uno scandalo o semplicemente si indaga sulla regolarità di qualche partita, il giorno dopo tutto torna come prima e si riprende a puntare. I giocatori sanno che eventuali combine fanno parte del gioco, del rischio, sono come mine vaganti sulla strada che altrimenti porterebbe dritta a vincite facili facili. In ogni caso non c'è mai veramente una "last bet" (cioè un'ultima scommessa): lo spettacolo deve continuare e domani è un altro giorno. "Eccoli tutti qua, gli scommettitori: hanno rimediato da qualche parte, a duro prezzo, un po' di soldi e adesso sperano di farli fruttare". Scriveva Charles Bukowski nel 1972, aggiungendo: "L'ippodromo è un lavoro come un altro, alla fin fine, e duro pure". Ma già un secolo prima Fedor Dostoevskij aveva fatto dire ad un suo personaggio: "E perché il gioco sarebbe peggiore di un qualsiasi altro mezzo di far denaro, per esempio, magari del commercio?". Problemi che riguardano solo pochi patologici casi di persone disadattate? Non esattamente visto che nella nostra realtà quotidiana la scommessa è assai più presente di quanto forse siamo disposti ad ammettere. Spiega Stefano Bartezzaghi in un articolo apparso su "La Repubblica" lo scorso 9 giugno: "A noi poi piace pensare di essere persone normali e che le persone normali scommettano sui propri ricordi. A.: «Chieti è in Abruzzo». B.: «No, è in Molise». A.: «Quanto scommetti?». Si scommette, cioè, di saper quel che si crede effettivamente di sapere e che magari viene messo in dubbio da qualcun altro. Ma quanto faremmo meglio a dubitare, sempre, di sapere! Ci possiamo sbagliare sulle province e le regioni italiane. Ma ci possiamo sbagliare anche su eventi del nostro stesso passato, faccende familiari su cui ci facciamo convinzioni distorte. E invece no, ci ostiniamo a pensare di sapere: chi siamo, cosa ci è successo ma anche che tempo farà domani, se il titolo Fiat andrà avanti o indietro, se la Cremonese e l' Atalanta segneranno più o meno di quattro gol (...)". Solo che una volta non c'era un'agenzia di scommesse in ogni quartiere come oggi. Per un numero crescente di persone (non solo adulte) è diventato normale fermarsi a fare una scommessa (ma lo stesso vale per i Gratta e vinci) tra la spesa dal lattaio e quella al panificio. Insomma, a dieci anni dalle prime aperture, queste agenzie sono riuscite a cambiare il nostro modo di percepirle. "La differenza quantitativa produce il salto di qualità - afferma Bartezzaghi - La compulsione non è più rovinosa di prima, se non perché è logisticamente compatibile con una vita apparentemente normale. Il "giocatore" dostoevskiano doveva recarsi in un Casinò: il gioco non lo inseguiva e raggiungeva in ogni luogo e in ogni momento, dal monitor di un computer o dal display di un telefonino. Passare ore all' ippodromo era socialmente più vistoso che stare davanti al computer, magari giorno e notte (...)". Insomma il gioco d'azzardo è un fenomeno di massa, una fuga di massa dalla durezza della realtà quotidiana, come spiega Bukowski: "La ragione per cui la gente va alle corse è perché è in agonia, eggià, ed è così disperata che preferisce correre il rischio di prolungare l'agonia piuttosto che affrontare la sua condizione attuale". E dopo un po' si può arrivare a scommettere contro sé stessi. Perché? "Secondo me c'è questo, il vero problema sta qui: che tu effettivamente vorresti essere da qualche altra parte (...)". E nella pellicola "Rischio a due", del 2005, Al Pacino espone una teoria sull'autolesionismo che può colpire il giocatore d'azzardo: "C'è qualcosa di intrinsecamente difettoso in noi... quando noi scommettiamo lo facciamo per perdere, in maniera inconscia. Io? Non c'è momento in cui mi sento più vivo come quando il croupier mi toglie le fiches dal tavolo, non quando me le dà... Noi difettosi perdiamo continuamente di proposito perché abbiamo sempre bisogno di ricordare a noi stessi che siamo vivi".

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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