D'Agrò: Obama ha vinto perché più presente sul territorio
Mercoledi 7 Novembre 2012 alle 22:16 | 0 commenti
Luigi D'Agrò, bassanese doc, è uno dei decani della politica veneta per la quale ha macinato kilometri avanti e indietro dal Vicentino sino a Roma. E nella capitale D'Agrò ha maturato dal 2006 al 2008 il suo ultimo impegno parlamentare che lo ha visto «vicecapogruppo Udc a Montecitorio» e membro della commissione per le attività produttive. Ora con uno sguardo all'altra parte dell'Atlantico l'onorevole individua proprio «nella lettura dell'agenda economica» una delle cifre del successo del democratico Barack Obama (qui l'altra intervista a Renato Ellero, ndr).
D'Agrò, che idea s'è fatto del voto presidenziale conclusosi a Washington poche ore fa. Come va interpretata la vittoria del presidente uscente?
«Proprio il termine uscente è una delle chiavi interpretative della campagna elettorale. I cittadini americani solitamente non abbandonano a metà del guado il capo dell'amministrazione. È un dato senza dubbio storico, ma che va storicamente declinato di volta in volta in senso politico. Ad ogni modo il successo è arrivato nonostante le tantissime promesse non mantenute a partire dal 2008».
Quali promesse?
«Quelle di una politica economica radicalmente più equa e meno combinata agli interessi di pochi soggetti, tanto per cominciare. Per poi passare al ritiro di parte del contingente militare in giro per il mondo. Obama comunque, indipendentemente dalle cifre rispetto alle quali sarebbe necessaria una approfondita analisi, è riuscito a dare l'impressione, e in parte lo ha fatto, di volere dirottare una parte delle immani risorse affidate al bilancio militare, alla economia reale. Le aperture all'industria automobilistica, tanto per dirne una, hanno pesato e come».
E il candidato Repubblicano Mitt Romney?
«Partiamo da una premessa essenziale. La preponderanza dell'ambito economico nella definizione dell'agenda politica è un aspetto assodato in tutti gli schieramenti. Storicamente i repubblicani si propongono come interpreti autentici della disciplina economica declinata in senso politico. Ma nel caso di specie Romney, che pure ha assunto un atteggiamento assai muscolare, ha sempre inseguito Obama. Non ha mai fatto il passo. La gente, consciamente o no, lo ha capito».
E sul piano della gestione tattica che campagna ha visto?
«Ancora una volta Obama è stato due incollature avanti. Nel 2008 aveva vinto grazie a internet. Ma il raggio politico d'azione sul web, un po' per la velocità del mezzo, un po' per il grado di esperienza rapidissimamente raggiunto dagli utenti, si è presto saturato. Va dato atto quindi al presidente, o ai suoi spin doctor, di avere riattraversato il fiume all'indietro».
Ovvero?
«Sono andati a conquistarsi la vittoria casa per casa, non dando eccessivo peso nemmeno alla televisione, ma puntando sul rapporto personale: con una battuta di sapore informatico, col porta a porta 3.0»
Onorevole, è possibile che gli statunitensi, sempre affascinati, più o meno non si sa, dal sogno americano, abbiano scelto Obama perché a livello inconscio ha dato loro l'impressione di fornire maggiori garanzie sul piano della sicurezza sociale? E se ciò è avvenuto si può leggere la cosa come un segno di crisi dello spirito americano?
«Inutile girarci attorno. Per molti aspetti gli Usa incarnano la crisi del cosiddetto mondo occidentale. Il mito della frontiera declinato con la globalizzazione, il gendarme mondiale sono atteggiamenti mentali che pesano. Ma queste elezioni dimostrano che c'è chi comincia a prendere le distanze dalla corsa sfrenata».
E sul piano dei rapporti con Italia ed Europa come va letta l'affermazione democratica?
«Sul piano dei "foreign affairs" il grande merito di Obama è stato quello di contenere, seppure con fatica, la spinta israeliana verso una opzione di forza nei confronti dell'Iran in nome del presunto rischio nucleare di marca sciita. Orbene, poiché i confini geopolitici sono assai più ampi di quelli nazionali, è naturale che una maggiore, seppur relativa, calma sullo scacchiere mediorientale, non può che farci stare più tranquilli. Diversa invece è la questione dei rapporti con l'Europa. Appare evidente che nell'ultimo anno l'amministrazione americana ha cominciato a soffrire non poco le rigidità in materia monetaria e fiscale del governo tedesco capitanato da Angela Merkel. Una maggiore inclinazione al dialogo e alla flessibilità da parte del premier Mario Monti sono stati apprezzati nell'entourage di Obama; il quale peraltro ha un buonissimo rapporto con Giorgio Napolitano, il nostro capo dello Stato».
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