Crisi dell'editoria e lo sciopero del GdV
Sabato 12 Dicembre 2009 alle 14:23 | 0 commenti
VicenzaPiù   Â
Vi offriamo di seguito, in anteprima sul numero 175 di VicenzaPiù da oggi in edicola e da domani ancora più facile da trovare nei punti di distribuzione in città grazie alla tiratura aumentata, l'articolo di Andrea Alba sulle rivendicazioni dei giornalisti dello stesso quotidiano.
Crisi dell'editoria
Cosa c'è dietro lo sciopero del GdV
La settimana scorsa il Giornale di Vicenza ha indetto due giorni di sciopero
Tra i motivi, la crisi nazionale dell'editoria e i tagli all'occupazione
Dai bilanci ai dati di vendita, tutte le cifre che stanno dietro alla protesta
Utili dimezzati in quattro anni bastano a giustificare una crisi aziendale? Se lo chiedono in molti, magari silenziosamente, nella redazione del principale giornale della provincia. Il riferimento va al "piano di ristrutturazione" avviato nel corso di quest'anno da "Il Giornale di Vicenza" e dalle altre testate del gruppo Athesis (che comprende anche "L'Arena" e "Bresciaoggi"), in una scia locale delle crisi dichiarate da grandi gruppi nazionali come Caltagirone Editore (Gazzettino, Mattino di Napoli, Il Messaggero), Rcs (Corriere della Sera), Finegil (L'Espresso, La Repubblica, Mattino di Padova, Il Piccolo di Trieste), Mondadori (Panorama, Chi). Nella città di Palladio, nel caso del Giornale di Vicenza questo si è tradotto nel pensionamento con qualche anno di anticipo (a spese del contribuente) di 5 giornalisti della testata - firme note e autorevoli - e nel blocco delle assunzioni per un biennio. Ma la crisi, c'è? Athesis è passata da un utile netto di 8 milioni 396 mila euro del 31 dicembre 2004 ad un utile netto di 4 milioni 357 mila euro del 31 dicembre 2008, meno di un anno fa. E il "GdV" è passato da una diffusione quotidiana (copie vendute, abbonamenti e copie gratuite) di 42.982 copie del periodo agosto 2004 - agosto 2005 alle 41.644 copie diffuse mediamente ogni giorno nell'arco di tempo settembre 2008 - agosto 2009 (dati "Prima Comunicazione"). Il dubbio quindi c'è, e autorizza un'analisi più approfondita.
La situazione
Quest'anno i gruppi editoriali sono andati tutti in crisi. A macchia di leopardo c'è stata un po' dappertutto una riduzione nella vendita di copie, con qualche eccezione, ma soprattutto c'è stato un drastico calo nella raccolta pubblicitaria, vittima della crisi generale. Nei primi otto mesi dell'anno, da gennaio ad agosto, i quotidiani in generale hanno registrato una diminuzione di fatturato pubblicitario del 20 per cento, a paragone con lo stesso periodo del 2008 (dati Fcp, Federazione concessionarie pubblicità ). E una nota di agenzia aggiornata al 24 settembre 2009 mostra nitidamente la flessione nelle copie vendute tra luglio 2008 e giugno 2009: il "Corriere della Sera" si conferma il quotidiano più diffuso in Italia con 581 mila copie, in discesa rispetto all'ultimo rilevamento, secondo quanto certificato da Ads (Accertamenti diffusione stampa) con un -10%, -70mila copie. Al secondo posto c'è "Repubblica" con 504 mila copie (-17%; - 105mila copie); al terzo posto, con 483 mila copie, il gratuito free-press "E Polis". Sfatato il "mito" che vuole una "Gazzetta dello Sport" quotidiano preferito dagli italiani: il giornale su carta rosa conta 351 mila copie (il lunedì 447 mila); "Il Sole24Ore" ne ha 316 mila (-7%; - 25mila copie) e "La Stampa" è stabile a 307 mila. A chiudere la classifica dei nazionali c'è "Il Corriere dello Sport" con 208 mila copie (il lunedì 248 mila); "Il Messaggero" con 207 mila copie; "Il Giornale" a 177 mila e "Il Resto del Carlino" a 159 mila. Libero segna un - 9,6 (da 130mila a 118mila copie).
Paga il cittadino
In questo clima, tutti i maggiori gruppi editoriali nazionali (citati all'inizio) e molti editori locali hanno dichiarato la crisi, sfruttando un accordo raggiunto all'inizio dell'anno fra governo, Fieg (associazione editori),e Fnsi (sindacato unitario dei giornalisti: la categoria infatti è "slegata"da Cgil, Cisl e Uil, anche se Fnsi nella sostanza è più che altro un sindacato degli assunti). L'accordo, raggiunto all'indomani del rinnovo del contratto nazionale della stampa, ha visto nascere un accordo per i prepensionamenti in caso di crisi aziendale, con almeno 58 anni di età e 18 anni di contributi o con 59 anni e 35 di contributi, e soprattutto un "Fondo statale per i prepensionamenti dei giornalisti", con dotazione annua di 20 milioni di euro (10 milioni per i quotidiani e 10 milioni per i periodici). Il fondo è a ipotetica copertura di circa 320 prepensionamenti, che altrimenti sarebbero a carico dell'"Inpgi", la cassa di previdenza della categoria: ad ottobre fonti sindacali parlavano di 255 giornalisti già "prepensionati", a spese del fondo statale e quindi del contribuente, e di trattative in corso fra redazioni e rispettivi editori per altri 322 (fonte: quartopotere.org).
Assalto alla diligenza
Premesso che le aziende editoriali sono pur sempre aziende - che come tali puntano prima di tutto a "fare utile", e in quest'ottica non può che essere lecito sfruttare le opportunità che Stato e sindacato offrono loro così volentieri - bene, fatta questa premessa va detto che è difficile trovare qualcuno che commenti il tema dei prepensionamenti nell'editoria, nel panorama della stampa italiana. Il diritto di critica viene esercitato da pochi: uno di questi è Fabio Morabito, presidente di Assostampa Lazio (sezione regionale del sindacato Fnsi) che, evidentemente in contrasto con i suoi stessi vertici nazionali, su internet (sito senzabavaglio.info) pubblica un vivace "botta e risposta" con sé stesso sulla questione. Ecco, ad esempio, come spiega perché il fondo statale per i prepensionamenti non va bene. "Perché sapendo che c'è un capitale così elevato a disposizione, gli editori si sono messi in corsa per "assalire la diligenza" dei finanziamenti. Se si dovesse "sforare" il tetto annuale, è prevista la possibilità che siano gli editori a pagare per alimentare il Fondo. Ma è chiaro che, toccato il "tetto", gli editori non saranno più così interessati a cacciare i giornalisti. Venti milioni di euro all'anno basteranno per cacciare 332 giornalisti. A carico degli editori, è previsto un "contributo straordinario" a capo di ciascuna azienda che farà ricorso a pensionamenti anticipati a far data dall'entrata in vigore del presente accordo e sulla base delle intese sindacali sottoscritte. Tale contributo è pari al 30% del costo di ciascun pensionamento anticipato così come quantificato dall'Inpgi all'atto delle dimissioni del singolo giornalista interessato". Solo questa norma potrebbe rappresentare un deterrente per gli editori".
Niente assunzioni
Più avanti, Morabito descrive le posizioni di giornalisti ed editori, e le ricadute sull'occupazione. "La Fnsi ha appoggiato la Fieg, che da sola non ce l'avrebbe fatta, perché venissero stanziati questi fondi. Il segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, ha spiegato che alzando il "tetto" per i prepensionamenti gli editori avrebbero concesso più soldi nei minimi del nuovo contratto, e per questo lui ha appoggiato la Fieg. [...] Il primo provvedimento che gli editori prendono, in una richiesta di stato di crisi, è di non rinnovare i contratti a tempo determinato. E la parola d'ordine è: blocco del turn over. Quindi i primi ad essere danneggiati saranno i giovani. Del resto, per accedere ai prepensionamenti gli editori devono presentare una richiesta di attivazione della Cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione e riorganizzazione in presenza di crisi aziendale. Si tratta di ricorso a denaro pubblico, e se lo Stato concede soldi per cacciare degli occupati, non può accettare che vengano fatte assunzioni. Le ripercussioni sul mercato del lavoro nei prossimi anni saranno negative, perché le redazioni che subiscono uno stato di crisi ne usciranno irrimediabilmente ridimensionate. [...] Chi aspetta di essere assunto resterà ancora alla porta, per il blocco del turnover, chi ha un contratto a tempo rischia che questo non venga confermato. Ma il danno sarà anche nelle pensioni. Lorenzo Bini Smaghi, componente del comitato esecutivo della Banca centrale europea, sostiene che soprattutto in Italia bisogna evitare misure come i prepensionamenti. Perché soprattutto in una situazione come quella italiana ‘un aumento della massa pensionistica peggiorerebbe drammaticamente la condizione dei più giovani, che già si trovano gravati dagli oneri contributivi destinati a finanziare l'attuale sistema'".
Crisi?
L'ultima battuta è per la crisi dell'editoria. "L'editoria è in crisi nel mondo, ma in Italia sono in tanti a millantare. La Caltagirone Editore, ad es., che ha macinato profitti impressionati, per un primo anno di bilancio in rosso vuole prepensionare con i soldi dello Stato, e cioè denaro pubblico, una cinquantina di giornalisti tra il Mattino e il Gazzettino. [...]. E' passata la linea più favorevole agli editori, e cioè che non c'è neanche bisogno del bilancio in rosso per dare l'assalto ai soldi dello Stato. I requisiti richiesti sono così vaghi e approssimativi che potranno chiedere i finanziamenti anche giornali che sono in attivo e hanno una storia di bilanci in salute. I requisiti, secondo la Fnsi d'intesa con la Fieg, non devono essere rilevabili "unicamente dai bilanci aziendali ma anche da riscontrabili indicatori oggettivi, presenti e prospettici esterni che abbiano incidenza su una critica situazione dell'impresa e possano pregiudicarne il buon andamento operativo. Gli indicatori in particolare dovrebbero registrare un andamento involutivo tale da rendere necessari interventi per il ripristino dei corretti equilibri economico-finanziari e gestionali". Quindi per chiedere uno stato di crisi basta pochissimo, "un andamento involutivo" che rende necessari "interventi". "L'andamento involutivo" può essere perfino il calo temporaneo della pubblicità ".
Il caso de "Il Giornale di Vicenza"
Come detto all'inizio, per il maggior quotidiano vicentino è possibile solo riportare dati parziali, in particolare per l'aspetto della vendita di pubblicità non si ha alcuna notizia certa sull'andamento di quest'anno. Comunque: i bilanci in 4 anni hanno mostrato per il gruppo Athesis un calo di 4 milioni di euro di utile al netto delle imposte, che però alla fine dell'anno scorso era ancora abbondantemente presente. Si passa infatti da 8.396.191 euro (31/12/2004) a 7.369.191 euro (dicembre 2005), a 5.550.587 (2006), a 5.692.837 (2007), a 4.357.119 (31 dicembre 2008). Per quanto riguarda le copie, si hanno valori certi fino all'estate 2009, e i numeri non mostrano riduzioni impressionanti: la diffusione media quotidiana negli anni passa da 42.982 copie (periodo agosto 2004 - agosto 2005), a 42.208 copie (stesso periodo fra il 2005 e il 2006), a 42.659 (2007), a 41.935 (2008), alle 41.644 copie diffuse mediamente fra l'estate 2008 e l'agosto 2009. L'analisi delle copie vendute (singola copia acquistata in edicola) mostra nello stesso periodo un andamento simile: da una media di 38.838 dell'arco di tempo agosto 2004 - agosto 2005 si è passati alle 36.230 del periodo settembre 2008 - agosto 2009. Duemila e cinquecento copie in meno, in 5 anni. Allora ricordiamo l'appunto di prima, ovvero che è comprensibile che ogni azienda, in quanto tale, punti a fare il massimo utile possibile sfruttando le opportunità legali che lo Stato le offre. E chiediamoci: ma la crisi c'è o no?
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