Colin Crouch: il capitalismo ci salverà dal capitalismo
Domenica 29 Aprile 2012 alle 22:41 | 0 commenti
Il politologo inglese, teorico della postdemocrazia, ospite del Festival del Giornalismo con Massimo Giannini di Repubblica. Secondo il professore, servirebbe un'alleanza di interessi economici contro la turbo finanza
di Fabrizio Ricci, rassegna.it
Sarà il capitalismo a salvarci dal capitalismo. O meglio, sarà il capitalismo "sano", quello che resta ancorato alla produzione di beni materiali, a salvarci dalla sua stessa degenerazione, quella "turbo finanza" che ci ha condotto in questa terribile crisi e che sembra non avere alcuna intenzione di mollare la presa.
La teoria è del professor Colin Crouch, il politologo britannico che circa 10 anni fa formulò il concetto di "postdemocrazia", dal quale anche oggi, venerdì 27 marzo, è partito nel suo colloquio/intervista con il giornalista di Repubblica, Massimo Giannini.
"Il futuro della Democrazia fra crisi del capitalismo e debolezza della politica": questo il titolo dell'incontro tenuto presso la Sala dei Notari di Perugia e inserito nel ricco programma del Festival internazionale del Giornalismo che animerà il capoluogo umbro fino a domenica 29 aprile. Un futuro a dir poco incerto, secondo i due interlocutori, che affonda però le sue radici già nella fine degli anni '70, quando, come ha osservato Massimo Giannini, "il capitalismo ha iniziato la sua controffensiva dopo le grandi conquiste sociali realizzate nell'occidente". Da lì, rendita e profitto hanno iniziato a crescere, accentuando le diseguaglianze e, di conseguenza, rendendo sempre più debole la Democrazia.
Eppure, secondo il professor Crouch, il tempo in cui viviamo è paradossale. "La Democrazia appassisce in Occidente e in Europa, ma fiorisce in tante altre parti mondo". Un paradosso che tuttavia, secondo lo studioso, si spiega facilmente. Afferma ancora Crouch: le elites hanno capito come "addomesticare la democrazia", usando i mercati e la finanza. Quindi, c'è un nuovo compromesso sociale, che accetta la democrazia, anche in Paesi come l'Egitto, con tutti i suoi elementi positivi, come la libertà di espressione e informazione. Ma l'accetta a patto che questa non sia troppo di ostacolo alla finanza stessa.
Poi, il compromesso ha naturalmente i suoi costi, e sono costi enormi. Giannini ha portato nel dibattito alcune cifre eclatanti. Come quelle relative alla montagna di "titoli salsiccia" (quelli alla base del disastro dei mutui subprime) che ogni anno viene emessa (tutt'ora) dalle banche Usa: qualcosa come 650 miliardi di dollari. E, come detto, sono proprio questi titoli che hanno condotto molte banche verso il fallimento, spingendo i Governi ad impiegare cifre ancor più mostruose per salvarle dal crack. Nei soli primi tre anni della crisi, negli Usa 2500 miliardi di dollari sono andati nelle casse di istituti prossimi al tracollo. E in Europa le cifre non sono poi così distanti. Un "gigantesco travaso di debito privato nel debito pubblico", lo stesso debito pubblico che oggi strozza le economie statali come quella italiana, rendendole schiave della "dittatura dello spread".
Riformare il sistema? Pressoché impossibile, vista la mole di interessi, ben esplicitati dalle cifre appena citate, che ne sono alla base. Ma ecco entrare in gioco la teoria di Crouch, sul capitalismo nemesi di se stesso. Dice il politologo inglese: controllare è possibile. Abbiamo già avuto in passato un sistema di regole che, ad esempio, separava le banche speculative da quelle tradizionali. Sarebbe possibile rifarlo, ma ci sono interessi di una parte del capitalismo, soprattutto in Gran Bretagna e Stati Uniti, che si oppongono. Tuttavia - osserva ancora Crouch - ci sono altri interessi, sempre all'interno del capitalismo mondiale, che vanno in un'altra direzione. Sono ad esempio quelli del capitalismo industriale, tedesco e non solo, che vedrebbero di buon occhio una regolamentazione più stringente della finanza globale. Per Crouch servirebbe dunque una "coalizione di interesse di settori capitalistici", che si opponga all'altra coalizione, quella della grande finanza e della speculazione. Non più lotta di classe, insomma, ma lotta interna alla classe.
E la politica in tutto questo cosa fa? Sostanzialmente niente, si adegua. Giannini parla di "quiescenza" delle classi politiche europee, inerti di fronte alla scrittura del copione da parte dei soggetti economici. Così la Bce - dice sempre Giannini - ha sostanzialmente dettato, nella famosa lettera, il programma al Governo Monti, che lo sta efficientemente portando a compimento. E, per lo stesso motivo, il presidente Draghi, rappresentante non eletto di un'istituzione non elettiva, può dire "con relativa leggerezza" che lo stato sociale europeo è morto e che bisogna mettersi l'anima in pace.
Anche qui, la via d'uscita è stretta e tortuosa, avverte Crouch. Ma l'unica alternativa possibile è un cambiamento di livello europeo nelle politiche sociali, dato che le logiche dei mercati sono già da tempo su quel piano. Altrimenti, i singoli stati, spesso troppo egoisticamente gelosi del proprio welfare, non hanno alcuna possibilità di contrastare l'onda e rischiano, al tempo stesso, di cadere in pericolose derive xenofobe e nazionaliste, come i recenti risultati elettorali in Francia sembrano dimostrare.
Intanto, per chi volesse approfondire il tema della crisi e della sua rappresentazione attraverso i media, domani il Festival di Perugia offre un altro appuntamento interessante, alle 15.30, sempre presso la Sala dei Notari: il titolo è "Comunicare la crisi nell'Eurozona" e ne discuteranno Maurizio Beretta (direttore comunicazione UniCredit), Oscar Giannino (Panorama), Lisa Jucca (Thomson Reuters), Tonia Mastrobuoni (La Stampa), Eugenio Occorsio (la Repubblica) e Mario Seminerio (blog phastidio.net).
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