Cinque domande sul federalismo
Domenica 20 Febbraio 2011 alle 22:21 | 0 commenti
Rassegna.it - Da anni si parla di federalismo nei modi più vari e fantasiosi, per questo conviene costruirsi una propria griglia di valutazione. Alcune domande cui sottoporre i pochi provvedimenti e i tanti discorsi che si fanno prima di esprimere un giudizio
di Gaetano Sateriale
Dopo tanti anni in cui si parla di federalismo nei modi più vari e fantasiosi, conviene costruirsi una propria griglia di valutazione. Alcune domande cui sottoporre i pochi provvedimenti e i tanti discorsi che si fanno prima di esprimere un giudizio.
Prima di tutto: oggi le leggi prevedono una sovrapposizione di competenze, le cosiddette "materie concorrenti", tra Stato, Regioni, Province e Comuni. Il principio di sussidiarietà (assunto dalla Ue), secondo cui le risposte ai problemi dei cittadini vanno garantite dall'ente più vicino ai cittadini stessi, è negato dalla pluricompetenza degli enti e da procedure di controllo ancora centralizzate.
Domanda n. 1: il federalismo in questione supera o attenua la sovrapposizione delle competenze e la centralizzazione delle procedure e dei controlli? Dice finalmente che cosa spetta ai Comuni e che cosa spetta agli organi dello Stato?
Secondo problema: oggi i Comuni sono esclusi dal partecipare alle scelte programmatiche delle Regioni; i governi regionali non partecipano alle scelte programmatiche dello Stato.
Domanda n. 2: il federalismo di cui si parla aumenta la partecipazione dei Comuni alla governance del paese (a partire dal Consiglio regionale delle autonomie locali e dal Senato delle Regioni e delle autonomie)?
Terzo problema: il welfare locale, i servizi ai cittadini sono assai differenziati in quantità , qualità , costi e tariffe. Dall'assistenza agli anziani alle scuole per l'infanzia, al trasporto pubblico locale, ciò che è garantito da anni in una regione del Nord non è neppure immaginabile in un'altra regione del Centro o del Sud.
Domanda n. 3: il federalismo di cui si parla riduce questa distanza a partire dalla definizione di standard minimi uguali per tutti oppure lascia tutto come prima e fa crescere le differenze?
Quarto problema: oggi le entrate dei Comuni dipendono dai trasferimenti dello Stato e da crescenti contributi (fiscali e tariffari) da parte dei cittadini: il gettito fiscale delle comunità va a Roma e torna molto ridotto, differenziato e incerto sotto forma di trasferimenti.
Domanda n. 4: nel federalismo di cui si discute aumenta la quota di partecipazione diretta al gettito fiscale dei contribuenti da parte dei Comuni oppure no? O si tratta di tributi aggiuntivi? Quinto problema:
Infine, il problema più rilevante. Oggi vi è una troppo spiccata tendenza dei Comuni a fare ciascuno per conto proprio, confondendo spesso autonomia con autosufficienza, se non autarchia.
Domanda n. 5: il federalismo in discussione favorisce l'aggregazione di funzioni fra Comuni? Favorisce la collaborazione fra enti nella gestione più efficiente dei servizi?
Questa griglia di domande è sufficiente per capire che il federalismo in discussione in Parlamento è molto al di sotto delle necessità e delle aspettative e non risponde positivamente a nessuna delle domande poste. I provvedimenti non introducono (e non si basano su) una divisione chiara dei ruoli e delle competenze tra Stato, Regioni e Comuni; non prevedono la nascita del Senato federale e del superamento del bicameralismo perfetto; non trattano il tema di una gestione più partecipata dei governi regionali; non stabiliscono standard minimi dei servizi comunali (mentre parlano di costi standard); le nuove entrate dei Comuni si basano su forme di imposizione aggiuntiva (spacciate per crescita dell'autonomia comunale) e non su una più trasparente e omogenea partecipazione al gettito. Unica eccezione la norma sulla compartecipazione dell'Iva introdotta all'ultimo. I provvedimenti in esame, infine, non favoriscono l'aggregazione territoriale delle funzioni e dei servizi comunali.
Quindi, secondo il nostro schema, non si tratta di federalismo vero ma posticcio. Che rischia, dietro al fumo ideologico e propagandistico, di aggravare la difficile situazione dei Comuni e le disparità tra territori. Chi si interrogasse sul motivo per cui la tanto sbandierata rivoluzione federalista del paese abbia partorito questo topolino così sproporzionato e inadatto allo scopo dovrebbe arrendersi all'evidenza. Non esiste in Italia una cultura federalista diffusa e solida né tra le istituzioni né tra le forze politiche. Forse nemmeno tra la gente. Anche le forze politiche di opposizione (sempre più divise per famiglie di appartenenza) non considerano necessario il rapporto con i territori se non in prossimità delle elezioni politiche, per produrre consenso per sé. Non hanno una struttura federalista della propria organizzazione. Difficile immaginare che costruiscano un serio federalismo dello Stato. Ecco perché è difficile credere che il federalismo vero venga "concesso" dall'alto.
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