Ciambetti: "Stop all'ingresso di lavoratori stranieri, strategia lungimirante e necessaria"
Venerdi 12 Agosto 2011 alle 13:35 | 0 commenti
Roberto Ciambetti assessore Lega Nord Veneto - Con oltre due milioni di senza lavoro, con un tasso di disoccupazione per i giovani tra i 15 e i 24 anni del 29,6 per cento, con un picco del 46,1 per cento per le donne del Mezzogiorno, rivedere in Italia le politiche di accoglienza dei lavoratori stranieri è un dovere e non possiamo escludere la strada, imboccata dalla Spagna, del ricorso alla clausola di salvaguardia, che consente di rinviare al 2013 la completa apertura del mercato del lavoro ai lavoratori Rumeni e Bulgari.
Anche la Francia sta rivendendo le sue strategie in materia di accoglienza  come annunciato più volte dal ministro dell’Interno Claude Gueant, che ha deciso di ridurre, passando da trenta mestieri a quindici,  la lista delle professioni qualificate per le quali si può ricorrere all’impiego di cittadini extracomunitari, quando ci sono difficoltà di reclutamento nel settore.  Credo che quest’ultima strada sia di estremo interesse, giacché non colpirebbe l’eventuale offerta di lavoro, anche straniero, laddove esiste una domanda, ma contestualmente impedirebbe l’arrivo di persone che alla fine non trovano impiego e che andrebbero ad ingrossare le file della disoccupazione e del disagio sociale.  Enti locali e Regioni non hanno fondi per fronteggiare adeguatamente l’incremento della domanda di servizi sociali e già a fatica oggi possono garantire una serie di servizi.
Alla fine del 2009 i  cittadini stranieri residenti in Italia erano 4 milioni e 235 mila, pari a circa il 7 per cento della popolazione totale: è doveroso chiedersi, con estrema onestà e senza voler scadere nelle usuali polemiche che accompagnano questi ragionamenti, se abbiamo effettivamente bisogno di questa massa di lavoratori stranieri, in una fase di profonda crisi e, come dicevo all’inizio, con tassi di disoccupazione elevata soprattutto tra giovani e donne.  Dobbiamo chiederci se la presenza di una quantità massiccia di lavoratori stranieri senza qualifiche non sia alla lunga un danno per la stessa impresa che non tende a riqualificare l’organizzazione del lavoro puntando nell’innovazione, nella tecnologia e nella qualità , e che rimane ancorata a modelli superati appunto basati sul largo impiego di manodopera.
E’ da chiedersi se non sia piuttosto logico attivare strategie che scoraggino l’arrivo di ulteriore maestranze non qualificate anche da Paesi Ue, come nel caso di Romania e Bulgaria, invitando per altro il disoccupato e chi, pur senza lavoro, non cerca un impiego,  ad impegnarsi anche in mansioni forse non appetibili, ma che garantiscono un reddito,  sgravando la comunità dai costi dell’assistenza a fondo perduto.
Manovre e contromanovra vanno riducendo i margini d’azione dello stato sociale, riducendo drasticamente le risorse che possiamo mettere in campo,  mentre la congiuntura economica lascia scarso spazio a speranze di nuova occupazione: la miscela che va delineandosi potrebbe essere esplosiva e va disinnescata per tempo. Â
Del resto i recenti avvenimenti londinesi devono ammonire e invitare tutti a una riflessione serrata sugli esiti finali di politiche di accoglienza che non tengano conto di un equilibrio occupazionale e della capacità di assicurare, attraverso lo stato sociale, livelli dignitosi di vita. Dobbiamo difendere lo stato sociale e dobbiamo difendere innanzitutto chi per anni ha contribuito a costruire il welfare italiano, cioè il mondo del lavoro che oggi ha diritto ad una pensione equa, giusta. Ma per difendere lo stato sociale dobbiamo evitare squilibri e prevenire la situazioni di disagio o pericolo. Credo che la mossa spagnola per chiudere le frontiere ai lavoratori rumeni o bulgari, io la strategia francese per diminuire l’importazione di manodopera non necessaria vadano lette proprio in questa dimensione di prudenza e lungimiranza da seguire, perché la politica non è fatta solo di manovre e stangate, ma di scelte capaci di risponder ai problemi di oggi guardando al domani. Â
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