Ciambetti, Lega Nord: Festa e follia, con il 17 marzo ci rubano anche la nostra festa
Venerdi 18 Febbraio 2011 alle 20:34 | 0 commenti
Roberto Ciambetti, Lega Nord - La decisione di celebrare il 17 marzo a spese del 4 novembre segna una svolta e svela il vero volto di chi vuole a tutti i costi questa celebrazione. Il 17 marzo non sarà una festa di popolo, né si celebrerà l'idea della nazione libera.
Suonano profetiche le parole di Antonio Gramsci a proposito di nazione: "In Italia, il termine ‘nazionale' ha un significato molto ristretto ideologicamente, e in ogni caso non coincide con ‘popolare', perché in Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla ‘nazione', e sono invece legati a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da un forte movimento politico popolare o nazionale dal basso: la tradizione è ‘libresca' e astratta, e l'intellettuale tipico moderno si sente più legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano". Il 17 marzo si celebra la festa di chi è più legato, anche passando attraverso il festival di Sanremo, ad Annibal Caro, Ippolito Pindemonte ma non certo a Ignazio Buttitta come ai contadini o agli operai.
Ben diversa, insomma, è la nazione che trova una sua giornata di riflessione nel 4 novembre. C'è una Italia che nasce nelle trincee, dove si trovano affratellati uomini di ogni dove, di ogni regione, una Italia che vive nella sofferenza di tante donne e tante famiglie che hanno i loro cari al fronte o che attendono disperate anche solo una notizia: è l'Italia, per dirla con Malaparte, dei Santi Maledetti, mandati a morire vuoi sul Carso, sugli Altipiani vicentini, sul Piave come capiterà ai loro figli d'esser spediti in Russia, Albania, Grecia...
L'Italia dei Santi maledetti, della povera gente, che, per dirla con Pietro Jahier "non sa perché va a morire", narrata da Lussu come da Frescura, da Salsa, Ungaretti, fino a Bedeschi o Mario Rigoni Stern, morta nelle trincee come nella guerra partigiana, nei campi di sterminio come nelle foibe, questa Italia viene declassata, perché i riflettori devono accendersi su Vittorio Emanuele II, sul parlamento di Palazzo Carignano eletto da 240 mila ricchi, aristocratici e possidenti, poco meno del 2 per cento del popolo d'allora, che decisero, perché questo è quanto accadde quel 17 marzo 1861, di assegnare al Re di Sardegna, a lui e ai suoi successori, il titolo di Re d'Italia. Si abbia allora il coraggio d'intonare la Marcia reale del Gabetti e con lui cantare il ritornello "Viva il re! Viva il re, Viva il re! /Le trombe liete squillano/ Viva il re! Viva il re, Viva il re!/con esse i canti echeggiano" ed echeggiano squillando voglio dirci che "Tutta l'Italia spera in te/tutta l'Italia crede in te/ segna di nostra stirpe e libertà , e libertà ", libertà , ovviamente, per i Savoia di far quello che volevano sino alla coraggiosa fuga a Brindisi, quando il popolo fu lasciato solo a morire per mano straniera, sotto le bombe, nelle camere a gas, torturati, fuicilati o infoibati. Ma poco importa se il popolo muore: il 17 non si festeggia né l'unità , non la nazione, né il popolo, ma il Re, "Viva il re! Viva il re, Viva il re! /Le trombe liete squillano". Festa odiosa, per chi, alla marcia del Gabetti, preferisce "Sul ponte di Perati/ bandiera nera / è il lutto degli Alpini/ che va alla guerra". E agli Alpini che va alla guerra, a quanto morirono per colpa dei Savoia, lor signori vogliono rubare anche la giornata della memoria.
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