Di seguito pubblichiamo l'intervista rilasciata dal vicentino Renzo Rosso, fondatore di Diesel, al quotidiano la RepubblicaÂ
Le banche popolari venete sono in crisi, e molte aziende locali faticano ad andare avanti. Renzo Rosso, sono le aziende che fanno fallire le banche o viceversa?
«La banca è fondamentale per fare business soprattutto per partire, sviluppare, comprare materia prima. Ricordo quando ho iniziato con gli assegni postdatati della Popolare di Marostica e della Cattolica del Veneto.
Ma allora c’era più rispetto del cliente, oggi le banche grandi non si occupano delle Pmi che sono il cuore pulsante del Paese, mentre le popolari non finanziano le piccole realtà , a danno del territorio che non riesce a far crescere nuove aziende.Â
Per questo noi ci siamo fatti garanti dei nostri fornitori, che erano strozzati con tassi alti. Abbiamo lanciato l’iniziativa Cash (Credito agevolato-Suppliers help, ndr) facendo sì che gli artigiani che lavoravano per noi - con standard etici e di risultato eccelsi - potessero avere credito dalle banche alle nostre condizioni. Le aziende inserite nel programma sono 50, ma in teoria 300 avrebbero i requisiti per accedervi. In due anni siamo riusciti a far erogare 55 milioni di finanziamenti, così non solo le abbiamo salvate, ma le abbiamo stimolate verso standard di eccellenza e la creazione di nuovo lavoro».
Perché per questo progetto voi veneti vi siete rivolti alla romana Bnl?
«Perché le banche locali non erano interessate, anzi al contrario stavano bene a prestare soldi al 12-13%. Così ci siamo rivolti a tutte le grandi banche con cui lavoravamo, e quella che ha risposto meglio all’iniziativa è stata Bnl: più che una banca romana, un gruppo che fa parte del colosso francese Bnp Paribas».
Malgrado interessi da usura le banche locali però non sono diventate grosse o ricche, come mai?
«La risposta che ho in mente è di quelle che non si possono dire ad alta voce. Siamo in Italia, soprattutto a livello locale ci sono clientelismo e giochi di potere. Le grandi banche, in teoria, sono più trasparenti perché devono competere con standard e rivali internazionali».
La crisi di alcune Popolari, tra cui la Vicenza di cui è stato azionista, la sorprende?
«Non mi sorprende affatto quel che è successo, mi sorprende invece che chi ha gestito, che ha una grande responsabilità su come sono andate le cose, non viene perseguito, anzi viene liquidato con compensi milionari. Penso a tante aziende che non ce l’hanno fatta o ai piccoli investitori intrappolati con azioni e investimenti illiquidi».
Cosa dovrebbe fare una banca popolare?
«Qualcosa di specialistico, mi piacerebbe vedere una banca locale occuparsi di grande microcredito. Se uno si specializza in questo settore fa operazioni fantastiche, noi l’abbiamo fatto in Emilia dopo il terremoto, e abbiamo riscosso anche grandi risultati economici».
Cosa ha fatto la Vicenza che non le è piaciuto?
«Era troppo concentrata nella raccolta fondi senza avere un’idea di cosa dire o fare per sviluppare il business. Aveva una mentalità vecchia, gestivano al modo di 20 anni fa. Mi chiesero di diventare socio nel 2007, accettai per dare un contributo di nuove idee. Fin da subito non mi è piaciuto come operavano, chiesi di uscire nel 2011 per divergenze di opinioni ma fui costretto ad aspettare il 2013 per farmi liquidare ».
Se oggi le chiedessero di partecipare all’aumento per il rilancio e la trasformazione in spa accetterebbe?
«Prima di tutto esaminerei qual è il progetto e quali le persone che lo portano avanti. Ma resto dell’idea che oggi sia meglio che le piccole banche vengano rilevate dalle grandi, perché salvo rare eccezioni, difficilmente vedo chi nel settore credito abbia voglia di cambiare le cose. Un raro esempio è Ennio Doris, che con mentalità allargata è riuscito a fare di Banca Mediolanum una cosa nuova che funziona».
di Sara BennewitzÂ