BPVi e Veneto Banca in liquidazione, Il Fatto: un contratto da 17 miliardi firmato con Intesa in 5 minuti di notte
Martedi 27 Giugno 2017 alle 09:43 | 0 commenti
La scena ha del surreale, non foss'altro per gli importi giganteschi. Centinaia di pagine, 17 miliardi di euro pubblici, 50 miliardi di valore trasferito: tutto è stato firmato in 5 minuti. In questo arco di tempo si è formalmente svolta la partita della cessione della polpa delle banche venete a Intesa Sanpaolo. Uno dei più costosi salvataggi pubblici di sempre. La scena s'è svolta a Milano, dove l'ad di Popolare di Vicenza Fabrizio Viola ha lavorato per tutta la notte di domenica con gli uomini di Intesa per chiudere il contratto di cessione degli asset di valore delle due popolari. Poche ore prima, nel pomeriggio, il governo aveva approvato il decreto che le mandava in liquidazione coatta amministrativa a spese dello Stato (in concorso con azionisti e obbligazionisti subordinati) e all'interno del quale viene addirittura spiegato al commissario liquidatore come fare la cessione.
Problema: formalmente Viola non poteva trattare nulla. E infatti solo quando, a notte fonda, è stato nominato commissario liquidatore dalla Banca d'Italia - insieme a 4 professionisti che nulla sanno di Pop. Vicenza e Veneto Banca - è stato firmato in pochi minuti il mega contratto con l'ad di Intesa Carlo Messina.
Il dettaglio spiega più di ogni altra cosa l'arbitrio compiuto dal governo. La dimensione surreale è predominante, illuminata dalle uscite delle autorità italiane. "Complessivamente sono mobilizzate risorse a favore dell'operazione fino a un massimo di 17 miliardi", spiegava domenica il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ai giornalisti. Gli stessi a cui ieri il vice direttore generale della Banca d'Italia, Fabio Panetta ha replicato: "I 17 miliardi come costo per lo Stato sono una cifra che non esiste e comprende garanzie che non saranno attivate. Lo Stato non ci perde, anticipa una somma e aspetta il rientro. E se ci perde è capace di sopportarlo". Entrambi, seguiti a ruota da Messina e dal premier Paolo Gentiloni al suono di "non è un regalo di Stato a Intesa Sanpaolo". Il mercato la pensa diversamente: ieri il titolo ha chiuso in Borsa a +3,52%, 1,5 miliardi in più di valore delle azioni. Per gli analisti saliranno pure i dividendi ai soci.Difficile, infatti, non chiamarlo regalo. Il governo permette alla prima banca italiana di prendersi ciò che vuole da due istituti in liquidazione, che hanno dei creditori. Una forma che agli esperti ricorda quella della bancarotta per distrazione, non a caso disinnescata dal decreto. A Intesa vanno 26 miliardi di crediti in ottimo stato (prestiti a famiglie e imprese) più 9 di altre attività ; 25 miliardi di raccolta dai depositi e 23 di raccolta indiretta, oltre a 11,8 miliardi di obbligazioni. La banca di Messina metterà in esubero 4mila dipendenti e chiuderà due terzi delle 900 filiali.
Per tutto questo, il capitale, cioè il rischio di impresa, lo mette lo Stato: 5,2 miliardi subito, in contanti, a Intesa, di cui 3,5 come nuovo capitale a fronte dei prestiti acquisiti dalle venete e 1,3 miliardi per gestire gli esuberi. Poi c'è il capitolo delle "garanzie", quello che fa ben sperare Panetta. Funziona così: poiché Intesa non vuole sostenere costi, né evitare che un domani qualche prestito si riveli poco esigibile, ha preteso e ottenuto che il governo copra tutti i rischi futuri. Le garanzie pubbliche ammontano a 12 miliardi, di cui 4 per crediti oggi sani (in bonis), ma che rischiano di non esserlo in futuro, e 6,3 miliardi per quelli che invece si riveleranno "incagliati" dopo l'analisi dei conti che Intesa ha già avviato. Di tutte le risorse impegnate a garanzia, sono quelle con la maggior probabilità di trasformarsi in un esborso per lo Stato in breve tempo, visto che Messina vuole minimizzare il più possibile i rischi. Se succede, i prestiti non selezionati da Intesa saranno retrocessi alla gestione commissariale della liquidazione (la cosiddetta bad bank) insieme ai quasi 20 miliardi di crediti già deteriorati o inesigibili.
In teoria lo Stato potrebbe rientrare in parte dei suoi soldi se i commissari dovessero riuscire a fare profitti escutendo gli immobili e i beni messi a garanzia di quei prestiti (dietro cui ci sono famiglie e imprese), ma c'è un problema: come rivela l'analista Alvise Aguti, del Comitato Azzerati del Salva-Banche, il passaggio dei crediti alla bad bank avviene ai valori messi a bilancio dalle due venete, che sono molto alti. Con un calcolo più realistico si apre una breccia che potrebbe portare l'esborso diretto dello Stato a circa 10 miliardi.
Carlo Di Foggia - Il Fatto Quotidiano
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.