Banco Popolare al centro del risiko delle popolari venete
Venerdi 13 Febbraio 2015 alle 09:37 | 0 commenti
Con i bilanci in ordine rispetto alle nuove regole imposte dalla Bce e alla luce dalla riforma-rivoluzione imposta da Renzi per le banche popolari sta per cominciare quello che in gergo viene definito come il «risiko» del credito. Cioè quelle grandi manovre fatte di fusioni ed aggregazioni al fine di creare delle maxi-banche in grado di competere in un mercato globalizzato ed affrontare «armati» il possibile avanzare dei colossi stranieri.
Un «risiko» che ha tra i principali attori proprio il Banco Popolare che, come dice il suo amministratore delegato, Pier Francesco Saviotti «ora può essere elemento aggregante del sistema». Ovviamente nulla è ancora stato deciso e men che meno formalizzato, anche perché mancano dettagli di non poco conto nella riforma renziana.
Si tratta di voci, mezze voci, sussurri nei corridoi che contano, ed anche per certi versi, suggestioni. Ma non è un segreto che ormai da settimane, in forma rigorosamente ufficiosa, certi contatti tra istituti di credito stanno avvenendo. Con alla base quanto auspicato da Assopopolari che, vista l'impari lotta per bloccare il decreto, ora si augura che lo spirito che sta guidando il premier sia quello di «creare un sistema più forte». E non - come in molti pensano - il semplice tentativo di salvare la banca amica Mps. Sta di fatto, come dicevamo, che Verona diventa snodo importante, se non fondamentale, di questo risiko.
NOCCIOLO DURO. Contestualmente al risiko bancario, le Popolari, con la traformazione in spa ed il nodo del voto capitario, hanno anche il problema della stabilità di vertice. A Verona tra le ipotesi che circolano c'è un intervento nel Banco della Fondazione Cariverona. La Fondazione, che aveva già raggiunto la quota massima consentita in passato, ora potrebbe salire ulteriormente nel capitale dell'istituto. Certo, c'è la scadenza di mandato alla presidenza di Paolo Biasi, ma sia il candidato gradito al sindaco Flavio Tosi, cioè Giovanni Maccagnani, che il «delfino» Giovanni Sala, hanno a cuore la veronesità come lo stesso Biasi.
La Fondazione, cedendo un pacchetto Unicredit, potrebbe fare un intervento cospicuo. A questo, si sommerebbero le quote di alcuni grandi industriali scaligeri: il risultato sarebbe di arrivare a quel 10% circa in grado di garantire, appunto, stabilità di gestione ed indirizzo.
IL RISIKO. La premessa è che alla base delle aggregazioni ci sono due elementi fondamentali. Il salvataggio di Mps ed il mantenimento di quel radicamento sui rispettivi territori che nessuna a cui nessuna delle Popolari vuol rinunciare.
MONTEPASCHI. (2.186 sportelli,183,4 miliardi di totale degli asset, 2,2 miliardi di capitalizzazione). Sembra tramontata l'ipotesi di un «spezzatino» di Mps cioè il dividere la banca senese in vari asset da conferire ad altre Popolari con i conti in ordine, lasciando a Siena un istituto locale più piccolo, ma dal futuro assicurato. Le ultime notizie danno infatti Mps sulla strada di Ubi (Bergamo-Brescia), unica che può in qualche misura accollarsi il boccone sensese ben difficile da digerire. Operazione gradita a Bazoli. L'ulteriore aumento di capitale deciso dal presidente di Banca Mps Alessandro Profumo rende questa strada un po' più in discesa.
VENETO BANCA. (555 sportelli, 35,9 miliardi di totale asset, 4,4 miliardi di capitalizzazione). Il partner più accreditato per il Banco sarebbe Veneto Banca. Vicina e strategica per diffusione territoriale. Tra l'altro il presidente dell'istituto di Piazza Nogara Carlo Fratta Pasini e l'ad Saviotti hanno ottimi rapporti con i vertici dell'istituto a Nordest. La stessa Veneto Banca in passato ha cercato in tutti i modi di evitare l'abbraccio con la Popolare di Vicenza (654 sportelli, 44,2 miliardi di totale asset, 5,2 miliardi di capitalizzazione). Resta lo scoglio della conversione delle azioni (non è quotata in Borsa): tempi troppo lunghi vanificherebbero questa soluzione in favore di un matrimonio con Vicenza.
EMILIA O LIGURIA. Altra opzione sul tappeto darebbe quella della Popolare dell'Emilia (1.273 sportelli, 61,2 miliardi di totale asset, 3,1 miliardi di capitalizzazione) o di Carige (640 sportelli, 38,3 miliardi di totale asset, 2,1 miliardi di capitalizzazione). Con gli emiliani ci sarebbe una buona contiguità sul territorio, ma la Bper stessa teme una intesa con un colosso come il Banco. Flebili le voci su Carige, istituto estraneo al mondo delle popolari e con una storia e vicinanze politiche che non aiutano eventuali intese con Verona.
MILANO. (716 sportelli, 49,2 miliardi di totale asset, 3,4 miliardi di capitalizzazione). Qualche voce in più riguarda una possibile alleanza tra il Banco Popolare e la Popolare di Milano. In questo caso a livello territoriale la sinergia sarebbe positiva, come pure l'accorpamento delle competenze con una Milano ben radicata nella regione più ricca del Paese. Nascerebbe un istituto veramente forte in grado di competere all'interno e a livello internazionale. Ma la via per Milano deve fare i conti con Ubi ed i bresciani (leggi Bazoli) poco inclini a veder sorgere un tale gruppo proprio nelle aree di così strategico interesse. Inoltre il rischio per Verona è quello di venire, nel medio periodo, fagocitata da quella «milanesità » che anche in altri ambiti (vedi l'energia) ha finito per dettare legge anche partendo da posizioni di non predominanza. E poi su Milano ci sarebbe già l'interesse dei colossi stranieri.
IPOTESI UBI. (1.560 sportelli, 121,3 miliardi di totale attivo, 5,7 miliardi di capitalizzazione). È la più suggestiva, e chi oggi la sussurra à pronto ad accompagnarla con uno scossone del capo. Però a livello di mera ipotesi non è da escludere che una Ubi che vedesse nell'Mps un boccone troppo indigesto, facesse la grande rinuncia (motivata) con Siena e volgesse lo sguardo ad Est. Tra l'altro Verona e Brescia-Bergamo hanno entrambe alla base quelle radici cattoliche che ne fanno due istituti con i medesimi valori, le medesime vocazioni e con vertici ben disposti al dialogo.
La benedizione del mondo cattolico e dei big Bazoli-Fratta ne sancirebbe le nozze. Ubi e il Banco hanno dimensioni simili: il Banco ha un totale attivo e un numero di sportelli maggiori di Ubi, mentre quest'ultima ha una capitalizzazione di Borsa superiore. Per questo sarebbero tutti da definire quegli equilibri che salvaguardassero la «veronesità » del Banco.
Di R. Eco., Da L'Arena
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