Banca veneta, Luca Zaia: "Io non ho sposato la tesi della fusione"
Giovedi 10 Novembre 2016 alle 09:45 | 0 commenti
Eravamo rimasti al suo appello: «Dobbiamo fare una banca veneta, se il progetto è serio gli imprenditori ci stanno». Ma in queste tre settimane Luca Zaia ha visto succedere di tutto, compreso il passo indietro di Beniamino Anselmi dal vertice di Veneto Banca, meno che un passo avanti da parte di aspiranti partner imprenditoriali. Così ora che il sindacato Fabi lo chiama in causa, come sostenitore della proposta di fusione tra Montebelluna e Vicenza, il governatore non ci sta. Zaia, perché?
«Dev’essere chiaro una volta per tutte che io non ho sposato la tesi della fusione. Ho semplicemente detto che bisogna valutare le tre opzioni indicate da Alessandro Penati, che è il presidente di Quaestio Sgr e cioè della società che gestisce Atlante, vale a dire il fondo che è l’azionista di maggioranza delle due banche e dunque quello che decide. Al di là della possibilità di tirare fuori qualche coniglio dal cilindro, mi risulta che ad oggi la proprietà abbia immaginato solo tre possibili scenari: lo spezzettamento, la vendita e la fusione. Così ancora in tempi non sospetti ho chiesto di studiare quelle tre possibilità dal punto di vista delle ricadute occupazionali. E ho posto una domanda: il territorio vuole o no una banca veneta?».
Che risposte ha avuto?
«Nessuna. Quindi per quanto mi riguarda il dossier è chiuso, visto che mi pare chiaro che al territorio non interessi niente di questa partita. La politica del “vai avanti te che a me viene da ridere†è scorretta e non mi piace. E questo silenzio assordante dà la dimensione del fatto che quando si tratta di criticare, tutti sono in prima fila, mentre quando c’è da prendersi la responsabilità , non si fa avanti nessuno. Continuerò comunque a seguire la vicenda delle banche sul piano dell’occupazione. Se infatti l’ex presidente Anselmi ha detto di essere preoccupato, io sono letteralmente angosciato per i posti di lavoro a rischio. Anche perché se poi c’è qualcuno che poi deve intervenire, quella è la Regione, che ancora una volta dovrà cercare di trovare eventuali ammortizzatori sociali e gestire i tavoli dei licenziamenti collettivi».
Anselmi ha però legato i suoi timori proprio agli effetti del progetto di fusione.
«I licenziamenti sono sempre una grossa tragedia, ma è ormai assodato che queste banche da sole non stanno sul mercato. Allora bisogna avere il coraggio di dire che siamo davanti ad una situazione di grande difficoltà , tanto che secondo quello che si legge i due istituti avranno bisogno di una valanga di risorse per essere ricapitalizzati. Ma se non si trovano i soldi per la fusione, immagino che tanto meno li si troverà per la ricapitalizzazione. Ad ogni modo ripeto ancora una volta, per chi non l’avesse capito, che secondo me l’unica cosa da fare è confrontare le proiezioni delle ricadute occupazionali delle tre alternative: spezzettamento, vendita e fusione».
Ma se Anselmi se n’è andato, non è che la fusione comportasse già per certo dei tagli insostenibili?
«Il dottor Anselmi, che non ho mai avuto il piacere di conoscere, ha posto una questione che è drammaticamente vera. Ma noi comuni mortali, che non stiamo nella stanza dei bottoni e non sappiamo cosa bolle in pentola, abbiamo il diritto di vedere, scritti nero su bianco, i tre scenari con le relative proiezioni. Finora abbiamo sentito il dibattito sull’ipotesi di fusione, ma non sappiamo se le altre due sono l’eldorado o piuttosto lacrime e stridore di denti. Immagino che Anselmi abbia considerato anche le alternative, per cui potrebbe dirci, e in quel caso sarebbe una bella notizia, se nel cassetto c’è un piano industriale in base a cui l’istituto, da solo e con un colpo di reni, può riuscire a salvaguardare i posti di lavoro».
È una provocazione?
«Affatto. Semplicemente mi metto nei panni dei lavoratori che non possono essere mandati al massacro con il dubbio che altrove ci sia un’isola felice. Se c’è anche soltanto una speranza di salvare i posti di lavoro, legata al fatto che la banca possa stare da sola, penso che il dottor Anselmi abbia l’obbligo morale di dirlo ai lavoratori. Per chi ha ruoli dirigenziali nelle banche, così come per la politica e per i sindacati, discutere di fusione non dev’essere un alibi per ragionare anche delle altre possibili strade. Invece ho l’impressione che su questo si voglia nascondere la polvere sotto il tappeto».Di A.Pe., daIl Corriere del Veneto
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