Baldo: Le piaghe d'Italia nascono dal centralismo statalista
Sabato 31 Dicembre 2011 alle 13:17 | 0 commenti
Italo Francesco Baldo, Impegno per Vicenza - "In Italia le piaghe si conoscono, manca la mano che vi applichi il farmaco o il ferro" ( G. Zanella) e questo sosteneva il poeta vicentino ormai più di un secolo fa! Sono ancora attuali le sue parole? Credo di sì. Il tutto deriva da una visione dello Stato italiano, sia monarchico, sia monarchico-fascista, sia repubblicano che si riassume in due termini: centralismo statalista
Lo Stato Italiano nasce, come è noto il 17, marzo del 1861 sul modello del regno di Sardegna, il quale mutuava la sua struttura da quella francese, dove lo Stato si costituisce non per delle finalità ben dettagliate come, ad esempio, quello federale degli Stati Uniti d'America, cfr. il preambolo alla Costituzione lo Stato, ma per ordinare e comporre le parti sociali. Il Regno di Sardegna era composto di "regnicoli" ossia abitanti naturali di un regno, considerati in rapporto ai diritti di cui potevano godere, e i diritti erano sanciti dallo Statuto, ossia dall'autorità del sovrano che "concedeva" ai sudditi determinati diritti. Non diversamente la Costituzione repubblicana che afferma la sovranità del popolo, che però la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione che non è voluta dal popolo, ma scritta dai suoi rappresentanti.
Il modello organizzativo dello Stato Italiano è sempre stato centralista, le autonomie locali, anche quelle speciali, forse con la sola esclusione dello Statuto siciliano, sono sottoposte al potere centrale, che controlla e può bloccare, chiaramente per fondato motivo, le deliberazioni dei Consigli regionali.
Vi è però da tener presente che lo Stato Italiano ha tre ben distinte fasi, quello liberale che lascia ampia autonomia ai "regnicoli" quasi esclusivamente solo in materia economica, iniziando però con Depretis e Crispi ad intervenire anche in quest'ambito. La crisi del liberalismo italiano dopo la prima guerra mondiale determina l'inizio del nuovo modello che avrò, soprattutto dopo la crisi del 1929, nuove prospettive. Lo Stato entra in modo preciso non solo nell'ambito del lavoro (Carta del Lavoro), ma anche in quello produttivo con l'Istituto di Ricostruzione Industriale e vari provvedimenti che legano la grande industria alle vicende politiche in un reciproco scambio che non è venuto mai meno, nemmeno dopo il crollo del fascismo e la nascita dello Stato Italiano repubblicano.
Da un lato l'economia liberale e dall'altro la sua relazione biunivoca con il potere politico. Accanto a ciò lo Stato Italiano aveva intrapreso fin dalle leggi Siccardi 1850, togliendo agli ordini religiosi, tranne quelli di utilità sociale (educazione, assistenza infermi, predicazione) le proprietà e di fatto iniziando una secolarizzazione che culminò nella istituzione di scuole quasi solo statali, ricordiamo le leggi Casati (1859), Coppino (1877), proseguendo poi fino ad oggi dove la scuola pubblica privata copre quasi solo esclusivamente la scuola materna ed elementare, privilegiando di fatto solo la scuola pubblica statale e ciò fu incrementato sia durante il fascismo che con la visione di gran parte della democrazia Cristiana e dei partiti di sinistra. La scuola fu ed è un organismo statale, controllato dal centro con un' autonomia stabilita dal ministro Berlinguer che è più di nome che di fatto. Quasi tutto, forse solo i calendari scolastici, è in realtà deciso dal Centro ossia dal Ministero della Pubblica istruzione.
lo Stato Italiano con un processo quasi irreversibile dal fascismo in poi è divenuto il quasi esclusivo detentore della sanità dei cittadini italiani. Mutuando alcuni provvedimenti dei governi Crispi e Giolitti, iniziò a determinare sia la sfera sociale sia quella assistenziale e sanitaria (Legge Crispi, i provvedimenti sulla sanità pubblica) con l'istituzione della Opera Nazionale Maternità ed Infanzia, i Dispensari antitubercolari, ecc. e culminando con il Servizio nazionale sanitario, legato in molte Regioni anche alla dimensione di intervento nei servizi sociali.
Gli stessi trasporti seppur con maggiore lentezza, passarono dall'ambito privato a quello statale, Dapprima si lasciarono ai privati solo le tratte ferroviarie e i collegamenti minori, ma dagli anni Settanta del secolo scorso anche questi passarono allo Stato.
Non diversamente, in ogni ambito, la libertà di azione del cittadino risulta condizionata in tutto e per tutto dallo Stato.
Il modello "utopistico" o meglio "statalistico" ha avuto come forze motrici sia il fascismo sia molti partiti dell'Italia repubblicana e se ciò avesse determinato un funzionamento ottimale della " macchina statale" non avremo problemi, ma fin dal suo sorgere si trovarono non solo difetti, ma soprattutto mali, derivanti dalla sovrabbondanza di burocrazia e di scambio politico. Non s'ignori che la politica italiana è stata sempre "trasformista", capace cioè di operare al di là dei cittadini e solo in funzione di quella che oggi chiamiamo la casta, che non è solo quella dei politici, ma anche quella di vari e vasti settori dello Stato o da esso dipendenti.
Lo Stato è tutto, ma quando questo è centralista e statalista, allora è Stato assoluto, dove al posto della figura del sovrano, vi è quella della casta politica, non a caso non si è nominato un libero cittadino come Presidente del Consiglio, ma prima di tutto lo si è cooptato nella casta.
I mali si conoscono e sono i mali del centralismo eccessivo, dello statalismo e della nomeklatura, come si usava dire di quella sovietica , i rimedi ci sono, destatalizzare, limitare l'intervento dello stato a soli determinati settori (giustizia, difesa comune, benessere generale) lasciando ampia libertà in tutti gli altri e intervenendo con il principio della sola sussidiarietà . Ma troppi anni, quasi 150 di una politica centralizzata e statalista non consentiranno veri cambiamenti. Questa è infine la vera preoccupazione, la stessa che investì i nobili francesi riottosi ai cambiamenti proposti dal sovrano e da Necker... cambiarono solo quando la lama scivolò inesorabile sul loro collo. Non dovremo aspettare come loro e iniziare un processo di cambiamento lungo, ma che aprirà a dimensione nuove, dove la responsabilità è del cittadino come autentico partecipe della vita del proprio Stato e non numero di voti.
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