Anche nella Chiesa di Vicenza c'è divisione
Lunedi 18 Febbraio 2013 alle 09:30 | 1 commenti
Riceviamo da Italo Francesco Baldo e pubblichiamo
Il papa all'udienza generale di mercoledì 13 febbraio ha parlato di una chiesa divisa, preda di correnti, di protagonismi, di moti non certo di spirito, di posizioni politiche. Con semplicità Benedetto XVI ha dato alla Chiesa il segnale della necessità di un cambiamento nella fede, nella speranza e nella carità , non nella visione di parte, ma di unità . A Vicenza com'è la situazione? La divisione è emersa chiara e ben delineata da diverse prospettive ed è arrivata al culmine con la questione della Base americana.
Forte del pensiero unico qualche anno fa nella chiesa tuonava un gruppo di presbiteri, segnando con ciò, quello che era noto, la divisione del clero a Vicenza, che non credo sia oggi ricucita. A contendere era l'autorità , il principio di autorità che costoro mal sopportano, come disse in un colloquio privato al sottoscritto un teologo vicentino della liberazione. Quale è il male? Non è difficile da identificare, ed ha ragioni precise.
Da un lato la pessima interpretazione del Concilio vaticano II, detto da un rettore di Seminario (mons. Cavallon), come una rivoluzione, proprio nei giorni in cui papa Benedetto XVI, con precisione affermava che esso è nella continuità della Chiesa. Vi sono infatti presbiteri che sostengono che vi siano due concezioni della Chiesa, una pre-conciliare ed una post-conciliare. Alla prima apparterrebbero i cosiddetti tradizionalisti, come se la Tradizione non fosse, insieme al Vangelo, fondamento al Magistero e, quindi, una delle fonti della stessa Chiesa. Ma qui tocchiamo quella che il Beato Rosmini chiamava "piaga". Mentre i seguaci della Chiesa postconciliare sarebbero attivi nella modernità , spesso nel modernismo a dire il vero e nella teologia della liberazione, una politicizzazione dei compiti della Chiesa stessa, come hanno ben definito Giovanni Paolo II e l'allora cardinale Ratzinger.
Tra l'altro conseguenza della prima concezione è la sesta piaga della Chiesa (cfr. Vicenza, Il Sileno 2006), ossia la politicizzazione di parte del clero, quello che si mette sempre più in evidenza, magari con Via Crucis parziali ad uso e consumo di posizione politiche, durante una delle diverse manifestazioni No Dal MOLIN. Costoro ritengono che Cesare sia più importante e operano anche nella omelie, spesso lunghe e ideologizzate e dove possono, invece di essere vicini alle persone. Un tempo "buttare la tonaca alle ortiche" significava "spretarsi", oggi non sanno nemmeno che cosa sono, anzi si nascondono usando abiti "civili", come se non dovessero essere segno perenne della loro vocazione e ministero. Per grazia vi sono poi molti altri sacerdoti che impegnano la loro vita secondo la missione ricevuta dal vescovo, il quale la riceve dal papa, senza il quale non vi è legittimità del vescovo e quindi anche del presbitero. Sentire un presbitero di alpeggio irridere al concetto di autorità , fa male oltre che ecclesialmente anche culturalmente: non sa il latino e quindi non sa che autorità significa innalzare non opprimere, ma tanto ha ricevuto "liberazionale" insegnamento magari in Seminario, dove si politicizza la parabola del buon pastore che segue alcune pecorelle, quelle politicamente corrette, e deride e nega valore alle altre, che magari intendono, con avallo, del papa, avvalersi del rito domenicale secondo il messale di Giovanni XXIII DEL 1962.
Infine, anche il clero attraversa la crisi dell'uomo nella nostra società , sempre più ridotto ad una folla di solitudini, ad un autorappresentarsi in un singolarismo dove tutto è ciò che io voglio. Perfino la legge deve essere quello che io voglio. Temo che il sacerdozio tenda a diventare magari una propria autorealizzazione, anziché una chiamata ed un servizio. Un sacerdote bresciano disse chiaramente di essere "sacerdote dentro" perché fuori certo non lo si vedeva. L'abito non fa il monaco, ma almeno ne dà l'idea.
Concludo.
Ut unum sint, affinchè siano uniti e mai divisi, perché diceva Erasmo da Rotterdam "il massimo della nostra religione è la pace e l'unanimità ". La pace non è quella del pacifismo, ma è Cristo risorto, nel rispetto delle posizioni, però non confondiamo, come si fece attaccando al Seminario una bandiera arcobaleno o utilizzando in Chiesa questo simbolo, che non ha nulla a che vedere con il mondo della fede cattolica. L'unanimità è ciò che il Magistero, seguendo il Vangelo e la Tradizione insegnano, come ben diceva anche il cardinale vicentino Elia Dalla Costa.
Ma costoro non prevalebunt, non prevarranno, le risorse dell'uomo e della fede, speranza e carità (non solidarietà troppo laica nell'origine del termine) avranno ancora vita lunga, nonostante tutte le avversità anche all'interno della chiesa vicentina.
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