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16 settembre 1982, Sabra e Chatila: ricordatevi che questo è stato

Di Giorgio Langella Martedi 16 Settembre 2014 alle 22:31 | 0 commenti

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Era il 16 settembre del 1982. Verso l'imbrunire alla periferia di Beirut ovest, iniziò il massacro di Sabra e Chatila. Con la complicità del governo e dell'esercito israeliano, centinaia, forse migliaia, di profughi palestinesi furono uccisi ad uno ad uno dalle milizie cristiano-libanesi. Una mattanza che è rimasta impunita. Una strage orribile che non è stata l'ultima di una serie, ma solo una delle tante della sistematica distruzione del popolo palestinese.

Oggi, a 32 anni da quell'orrore, stiamo vedendo altre stragi, altri orrori. Assistiamo a quella che, come l'ha definita papa Francesco, è "la terza guerra mondiale a episodi" e, forse, non ci rendiamo conto di cosa sta realmente succedendo. Guardiamo le atrocità (quelle che un'informazione pilotata ci vuole mostrare) e ci sentiamo spettatori di qualcosa di lontano, una specie di "fiction". Abbiamo visto i bombardamenti di Gaza. Da 13 anni assistiamo alla guerra permanente in Afghanistan. Leggiamo delle guerre in varie regioni dell'Africa. Ci preoccupiamo della situazione del medio oriente dilaniato da una guerra diffusa in tutte le nazioni nelle quali l'occidente aveva deciso di "esportare la democrazia". Non comprendiamo il pericolo che, nel centro dell'Europa, in Ucraina, ci sia un governo del quale fanno parte forze dichiaratamente naziste, che continua a bombardare le città dell'est del paese. Ogni giorno, ogni ora ci sono atrocità di ogni genere. Decapitazioni di ostaggi inermi da parte di membri dell'esercito del califfato islamico (ISIS). Teste mozzate, quasi certamente da volontari delle milizie neo-naziste che combattono al fianco dell'esercito di Kiev, di ribelli del Donbass (est Ucraina) spedite alle famiglie in scatole di legno. Notizie diffuse o censurate a seconda della convenienza. Ci preoccupiamo e, forse, ci indigniamo, ma quando spegniamo la televisione o internet, quando chiudiamo il giornale, nulla sembra essere successo. I massacri, le vittime innocenti, il dolore di chi sopravvive vengono coperti da una patina di indifferenza. Tornano ad essere fatti lontani che non ci toccano.

Un'indifferenza sfruttata dal governo italiano e da quelli appartenenti alla Nato che, nel frattempo, si impegnano ad aumentare le spese militari. Per fare cosa se non per prepararsi a nuove guerre, nuovi bombardamenti, nuove distruzioni?

Non possiamo girare la testa dall'altra parte, né fare finta di nulla. Per questo è nostro dovere ricordare che il 16 settembre di 32 anni fa, alle porte di Beirut, per due lunghissimi giorni l'orrore trionfò nei quartieri e nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila. È un dovere ricordare che, dal 15 settembre e fino alla fine del massacro, Sabra e Chatila furono chiuse ermeticamente dall'esercito israeliano che impedì la fuga alla popolazione che le abitava e consentì alle milizie delle falangi cristiane di compiere la mattanza.

Ricordiamoci che questo è stato. Rendiamoci conto che tragedie analoghe hanno luogo sempre più spesso in troppe parti del mondo. Proviamo a pensare che lo stesso orrore può colpire anche noi e le persone a noi care. Lo può fare anche se restiamo indifferenti al dolore di chi vive lontano, anche se chiudiamo gli occhi o non vogliamo ascoltare.

Anzi, proprio se resteremo inerti, diventeranno la nostra realtà.

 

Dopo questa riflessione un articolo di due anni fa di Robert Fisk

Sabra e Chatila, un massacro dimenticato
di Robert Fisk

Quei ricordi, ovviamente, non si cancellano. Lo sa bene l'uomo che aveva perso la sua famiglia in un precedente massacro e poi vide, impotente, i giovani di Chatila costretti a mettersi in fila e a marciare verso la morte. Ma il tanfo dell'ingiustizia soffoca ancora i campi profughi nei quali esattamente 30 anni fa furono massacrati 1700 palestinesi. Nessuno è stato processato e tanto meno condannato per quel massacro, che persino uno scrittore israeliano paragonò all'assassinio dei partigiani jugoslavi ad opera dei simpatizzanti nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Sabra e Chatila sono un monumento eretto ai criminali che l'hanno fatta franca.

KHAKED ABU Noor era un adolescente, un futuro miliziano ed era partito per le montagne poco prima che i falangisti alleati di Israele facessero irruzione. Si sente in colpa per non aver potuto combattere contro i violentatori e gli assassini? "Il sentimento che ci accomuna è la depressione", mi risponde. "Abbiamo chiesto giustizia, abbiamo invocato processi internazionali, ma nulla è accaduto.

Nemmeno una sola persona è stata ritenuta colpevole di quell'orrore. Nessuno è finito dinanzi ad un tribunale. Forse per questo abbiamo dovuto soffrire ancora nella guerra del 1986 (per mano dei libanesi sciiti) e forse per questo gli israeliani hanno potuto massacrare moltissimi palestinesi nel 2008-2009 durante l'invasione di Gaza. Se i responsabili del massacro di trenta anni fa fossero stati processati, non ci sarebbero stati i morti di Gaza". Ha le sue ragioni per pensarla a questo modo. L'11 settembre a Manhattan decine di presidenti e primi ministri hanno fatto la fila per commemorare le vittime dell'attentato criminale al World Trade Center, ma nemmeno un leader occidentale ha avuto il coraggio di far visita alle fosse comuni sudice e spoglie di Sabra e Chatila. Ad onor del vero, va detto che in trenta anni nemmeno un solo leader arabo si è preso la briga di visitare il luogo in cui riposano almeno 600 delle 1700 vittime. I potenti del mondo arabo piangono, a parole, per la sorte dei palestinesi massacrati nei campi, ma nessuno ha voluto affrontare un breve volo per rendere omaggio a questi morti dimenticati.

E poi chi se la sente di offendere gli israeliani o gli americani?

Per ironia - ma significativa - del destino, il solo Paese che ha svolto una seria indagine ufficiale, pur finita in un nulla di fatto, è stato Israele. L'esercito israeliano lasciò entrare gli assassini nei campi e rimase a guardare senza intervenire mentre le atrocità si consumavano.

La testimonianza più significativa è quella fornita dal sottotenente israeliano Avi Grabowsky. La Commissione Kahan ritenne l'allora ministro della Difesa di Israele, Ariel Sharon, personalmente responsabile per aver consentito ai sanguinari falangisti anti-palestinesi di fare irruzione nei campi "per ripulirli dai terroristi" - rivelatisi inesistenti come le armi di distruzione di massa dell'Iraq 21 anni dopo. Sharon fu costretto a dimettersi, ma in seguito divenne primo ministro fin quando fu colpito da un ictus. Elie Hobeika, il leader della milizia cristiana libanese che guidò gli uomini nei campi - dopo che Sharon aveva detto ai falangisti che i palestinesi avevano appena assassinato il loro capo Bashir Gemayel - fu assassinato qualche anno dopo nella zona est di Beirut. I suoi nemici dissero che era stato ucciso dai siriani, i suoi amici incolparono gli israeliani. Hobeika, che aveva stretto una alleanza con i siriani, aveva appena annunciato che avrebbe "detto tutto" sulle atrocità di Sabra e Chatila dinanzi ad un tribunale belga che voleva processare Sharon.

Naturalmente quanti di noi entrarono nei campi il terzo e ultimo giorno del massacro - il 18 settembre 1982 - hanno i loro ricordi. Io ricordo il vecchio in pigiama disteso a terra supino nella strada principale del campo con accanto il suo innocente bastone da passeggio, le due donne e il bambino uccisi accanto a un cavallo morto, la casa privata nella quale mi nascosi dagli assassini insieme al collega del Washington Post, Loren Jenkins. Nel cortile della casa trovammo il cadavere di una giovane. Alcune donne erano state stuprate prima di essere uccise.

Ricordo anche la nuvola di mosche, l'odore penetrante della decomposizione. Queste cose le ricordo bene.

ABU MAHER ha 65 anni. La sua famiglia era fuggita da Safad, oggi Israele, e abitava nel campo profughi nei giorni del massacro. Sulle prime non voleva credere alle donne e ai bambini che gli dicevano di scappare. "Una vicina di casa cominciò ad urlare, guardai fuori e vidi mentre la uccisero con un colpo di arma da fuoco alla testa. La figlia tentò di fuggire; gli assassini la inseguirono gridando ‘Ammazziamola, ammazziamola, non ce la lasciamo sfuggire!'. Lanciò un grido verso di me, ma io non potevo fare nulla. Ma riuscì a salvarsi". Le ripetute visite ai campi, anno dopo anno, hanno creato una sorta di narrazione ricca di stupefacenti particolari. Le indagini condotte da Karsten Tveit della Radio norvegese e da me hanno provato che molti uomini, proprio quelli che Abu Maher vide marciare ancora vivi dopo il massacro iniziale, in seguito furono consegnati dagli israeliani agli assassini falangisti che li tennero prigionieri e Beirut est per diversi giorni e, quando si resero conto che non potevano servirsene per scambiarli con ostaggi cristiani, li giustiziarono e li seppellirono in fosse comuni. Altrettanto atroci e crudeli le argomentazioni a favore del perdono. Perché ricordare alcune centinaia di palestinesi massacrati quando in 19 mesi in Siria furono uccise 25.000 persone?

I sostenitori di Israele e i critici del mondo musulmano negli ultimi due anni mi hanno scritto insultandomi per aver più volte raccontato il massacro di Sabra e Chatila, come se il mio resoconto di testimone di quelle atrocità fosse soggetto alla prescrizione. Sulla base dei miei interventi su Sabra e Chatila raffrontati con miei articoli sull'oppressione turca, un lettore mi ha scritto che "sono portato a concludere che nel caso di Sabra e Chatila, lei mostra un pregiudizio contro Israele. Giungo a questa conclusione per il numero sproporzionato di citazioni di questa atrocità...". Ma è possibile esagerare nel ricordare un massacro?

La dottoressa Bayan al-Hout, vedova dell'ex ambasciatore a Beirut dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), ha scritto la più autorevole e dettagliata ricostruzione dei crimini di guerra di Sabra e Chatila - perché di questo si è trattato - ed è giunta alla conclusione che negli anni seguenti la gente aveva paura a ricordare.

"POI ALCUNI gruppi internazionali hanno cominciato a parlarne. Dobbiamo ricordare: le vittime portano ancora le cicatrici di quei fatti e ne saranno segnati anche coloro che debbono ancora nascere". Alla fine del libro, al-Hout pone alcuni interrogativi difficili e pericolosi: "Gli assassini sono stati i soli responsabili? Possiamo definire criminali solo gli autori del massacro? Solo chi diede gli ordini può essere considerato responsabile? ".

In altre parole, non è forse vero che il Libano aveva un parte di responsabilità a causa dei falangisti, Israele un'altra parte a causa del comportamento del suo esercito, l'Occidente un'altra parte per avere Israele come alleato e gli arabi un'altra parte per avere gli americani come alleati? Al-Hout chiude citando le parole con le quali il rabbino Abraham Heschel si scagliò contro la guerra del Vietnam: "In una società libera alcuni sono colpevoli, ma tutti sono responsabili".

Robert Fisk
17 settembre 2012

Fonte: www.independent.co.uk

 

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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