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Categorie: Cinema

L'Agnese va a morire, l'8 a Montecchio Pr.

Venerdi 5 Marzo 2010 alle 19:13

di Gìuliano Corà     

 

Varie ed interessanti iniziative per l'8 marzo, tra cui - assolutissimamente imperdibile! - la proiezione, alle 20,30 presso Centro Socio Culturale Comunale - Preara di Montecchio Precalcino, de L'Agnese va a morire, di Giuliano Montaldo, splendido film, che il regista trasse dal romanzo omonimo di Renata Vigano (Einaudi Ed.), interpretato da una grande Ingrid Thulin: per me, il più bel film italiano in assoluto sulla Resistenza, meravigliosamente 'elementare' e semplice, rigorosamente antiretorico e 'vero'.
La storia è appunto la stessa. Una contadina analfabeta della Bassa si vede uccidere dai nazisti il marito comunista. Entrerà nella Resistenza come staffetta, emancipandosi come cittadina e come donna. Nella scena dei soldati tedeschi che rovesciano nel fango la carriola col bucato appena lavato con fatica al fiume, ci sono tutta la violenza, l'arroganza e la stupidità del fascismo, ed anche il suo stolido maschilismo. Un film scomparso nel nulla, come spessissimo accade ai bei film (se invece vi stuzzica rivedere i rutti di Boldi e De Sica, l'offerta è ampia).
Nei principali siti Internet di vendita di DVD il titolo è inesistente. Non vi resta che affidarvi al mercato 'clandestino' dei VHS, e che San Méliès vi aiuti. Oppure andare lunedì a Dueville, appunto.

di Giuliano Corà

 

L'AGNESE VA A MORIRE*
Il film, tratto dal romanzo di Renata Viganò e ambientato nel delta del Po (Valli di Comacchio), narra una vicenda che si svolge dall'8 settembre 1943 all'inverno 1944-1945. La guerra che le immagini ci documentano avviene nelle campagne dell'Italia del Nord, strette tra la Resistenza, la repubblica di Salò e l'occupazione nazista.
L'irruzione della guerra all'interno della comunità rurale si alimenta di un incontro-scontro con i "diversi" (soldati meridionali sbandati, ex prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento dopo l'8 settembre) e con gli "estranei" (gli sfollati) e dove il rapporto mondo contadino-resistenza non fu facile né lineare.
Proprio nel biennio 1943-45, infatti, il tradizionale vantaggio della città sulle campagne si è parzialmente invertito; con il crollo del sistema degli ammassi, il contadino che dispone di prodotti eccedenti i propri bisogni familiari è in grado di procurarsi un reddito in contanti, vendendoli a borsa nera, molto maggiore di quello effettivo.
E' questo il riferimento oggettivo di quanti insistono sulle meschinità, le chiusure avide e rivendicative dei contadini quasi come se, nemmeno in questi momenti, essi riescano a sottrarsi alla tradizionale ossessione per "la roba". In realtà non si tratta solamente di avidità; in quell'attaccamento c'è la condizione necessaria per perseguire una strategia della sopravvivenza che è la vera ed unica scelta di massa delle campagne italiane.
La guerra è ovviamente interpretata come una calamità; bisogna aspettarne la fine e, nell'attesa, attutirne gli effetti con iniziative di dissimulazione, lasciando trasparire all'esterno quella che sembra fatalistica rassegnazione ed è invece una lucida lotta difensiva.

IL FASCISMO E LE DONNE*
Per tante donne come per l'Agnese la Resistenza è l'occasione di una complessiva "promozione" umana, sociale e politica. Le comuni condizioni di pericolo, i rischi corsi insieme, quella specie di fratellanza che si stabilisce quando si impugnano le stesse armi, riescono ad infrangere molti stereotipi ideologici e culturali.
Ma non bisogna pensare che la donna goda, nell'epoca partigiana e quindi durante il governo fascista, di una condizione favorevole. L'ideologia fascista ha inquadrato le donne in una visione gerarchica del rapporto fra i sessi, dovuta all'enfatizzato culto della virilità, proprio della mentalità.
Il regime promuove nuove misure concernenti i rapporti fra i sessi e i rapporti generazionali: cambia così l'intera struttura dei rapporti familiari. La famiglia è incoraggiata ad essere prolifica (secondo una precisa politica di incremento demografico) e ad essere collegata organicamente allo Stato. Il nucleo familiare diventa così la cellula fondamentale dello Stato fascista, e ciò è reso esplicito nel Codice Civile del '42 in cui il giurista Rocco definisce la famiglia "un'istituzione sociale e politica".
Questo nuovo modello di famiglia presuppone un marito lavoratore dipendente il cui salario è integrato dagli aiuti dello Stato accentratore e del lavoro casalingo della moglie. Incubo di quegli anni è la figura della donna spendacciona, irresponsabile o magari sterile (e quindi non in grado di assecondare la politica di crescita demografica). La mentalità fascista, dunque, non innova quei vecchi stereotipi culturali, tipici del mondo contadino (la donna bella è "a rischio" poiché fragile e inadatta sia al lavoro sia alla riproduzione), ma anzi li usa per porre le basi ad un modello di famiglia che continua ben oltre il fascismo stesso. Basti pensare che solo nel 1975 si arriva a considerare reato lo stupro o l'incesto.
La reale conseguenza di questa politica non è però l'aumento delle nascite (che già dagli inizi del ‘900 è in costante diminuzione), bensì la nascita di una particolare struttura e concezione della famiglia, che consiste in "un nuovo patriarcato delle classi urbane".
Seguendo questa politica lo Stato fascista cerca di eliminare tutte quelle attività che possono distrarre le donne dallo sposarsi presto e dall'aver tanti bambini, tra cui la scuola. Ad esempio, le bambine pagano una tassa doppia di quella dei bambini per frequentare le scuole medie.
Quelle poche donne attive all'interno del movimento fascista, costituiscono quindi motivo di imbarazzo, problema da tenere sotto controllo, affinché non diventi un modello di devianza dalla normalità della donna regina del focolare.
Sono accettate dal fascismo solamente le organizzazioni femminili di matrice cattolica, poiché con il Concordato del '29 la Chiesa ha dato il suo sostegno e rafforzamento a un "modello di famiglia unita e fondata su un sistema di potere asimmetrico fra i sessi e le generazioni", modello che presuppone una donna rassegnata, con spirito di sacrificio e umiltà, e che dura molto più a lungo dello stesso fascismo.
Con la caduta del regime e con l'inizio della Resistenza, il ruolo della donna ha incominciato a cambiare. Il ruolo della donna nella Resistenza non è mai stato studiato sufficientemente: la donna della Resistenza è considerata come conseguenza dell'uomo della Resistenza, quando invece molte donne fanno quella scelta radicale da sole, senza essere in qualche modo influenzate dalla scelta dei mariti o dei figli. Anche il loro ruolo nella famiglia cambia molto: la donna della Resistenza è lavoratrice e autonoma. Non per questo però bisogna dimenticare che nella maggioranza dei casi il modello della famiglia fascista persisterà ancora per molto tempo.

 

*Testi ricevuti dal Comune di Dueville

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Commenti degli utenti

Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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