La lettera a Mario Monti
Martedi 20 Marzo 2012 alle 20:43 | 1 commenti
Preg. prof. Mario Monti, Presidente del consiglio dei Ministri,
sono uno dei pensionati con assegno superiore - sia pure di poco - a 1400 €/mese e quindi i miei emolumenti, dopo 40 anni di contribuzione, verranno ridotti a causa dell'inflazione: anno dopo anno. Non protesto per questo mio sacrificio confidando che sia utile per "salvare" l'Italia. Di ben altro mi dolgo e glielo esprimo con una domanda. Perchè i redditi non pubblici sopra i 200.000 €/anno non sono stati chiamati a contribuire con una specifica addizionale (es: 5-7%)?
Si dirà che questi già pagano le tasse. Ma anch'io le pago ed alla fin fine poco importa che la minor disponibilità derivi dal blocco della rivalutazione o da un incremento di imposta. Il risultato é uguale: minori soldi in tasca e maggiori entrate per lo Stato.
Un secondo ed ultimo punto riguarda l'art. 18 della L. 300/70. Non credo sia equo il pareggiare al ribasso i garantiti e chi non lo é. Questi non avrebbero vantaggi ed i primi una ingiusta penalizzazione.
E' arduo sostenere che la maggior facilità nei licenziamenti (chiamiamo le cose con il loro nome!) crei dei nuovi posti di lavoro. Eventualmente è prevedibile un effetto sostitutivo di giovani a danno di chi non lo è più. In questo modo però si drammatizza il conflitto generazionale, che allo stato non si avverte affatto, e si incoraggiano scelte conservative degli odierni livelli occupazionali. Una politica accorta deve portare all'aumento dei posti di lavoro non alla spartizione di quelli che già ci sono.
La manomissione, comunque compiuta, dell'art. 18 si pone in contraddizione con la parte della manovra relativa all'età pensionabile ed alla introduzione del contributivo per tutti. La mia ultra decennale esperienza sindacale ed il mantenimento di una vicinanza con questo mondo dopo la mia uscita da esso mi danno una certa conoscenza di come vanno le cose sul piano pratico, caso per caso, azienda per azienda. Non sarà difficile ai datori di lavoro trovare un qualche pretesto per licenziare chi, avendo 50-55 o più anni, costa di più e sostituirlo con un giovane che, a parità di mansioni, costerà si meno: inserimento in inquadratura contrattuale inferiore, assenza di scatti salariali di anzianità , non quote integrative di salario. In più avrà maggior vigoria e adattabilità . A ciò servirà , soprattutto, la modifica dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori voluta dal Governo e da Confindustria. Questo significa la" motivazione economica" prevista come causa consentita di licenziamento. Per le situazioni di difficoltà delle aziende ci sono da anni strumenti collaudati: cassa integrazione, mobilità , riduzione contrattata dell'orario di lavoro. Inoltre consentirà arbitrii, o minacce e ricatti, specie verso le donne, com'era prima del 1970.
La mia realtà veneta è fatta di piccole e medie aziende dove il sindacato è poco presente e le tutele sindacali sono spesso inesistenti. Solo il timore del reintegro deciso dal giudice può avere un effetto preventivo.
E penso che non sia diverso nelle altre regioni e in aziende analoghe (il 95% delle realtà produttive italiane).
Cioè l'importanza dell'art. 18 concerne non tanto i reintegri effettuati quanti l'effetto preventivo, cioè i licenziamenti non realizzati per timore, da parte delle aziende, del ricorso al giudice.
Infine, il lavoratore licenziato - ad esempio dopo 30 anni di lavoro nella medesima azienda - e mantenuto dallo Stato con gli ammortizzatori sociali, o costretto a lavori dequalificati, subirà un pesante affronto alla sua dignità di Uomo e di lavoratore.
Non é vero che le aziende trattengano i dipendenti anziani perchè utili per la loro esperienza e fidelizzazione. Oggi le aziende, nel Veneto e penso anche in altre parti de4l Nord, ragionano in temimi di costo del lavoro e di riduzione di manodopera. Naturalmente ci sono le eccezioni, che confermano la regola.
Non siamo in Germania dove le imprese valorizzano l'esperienza e la fidelizzazione.
Non siamo nemmeno in Danimarca!
Eppoi, con l'allungamento dell'età pensionabile, il licenziato cinquantenne vagherebbe tra un precariato e l'altro per 17 anni. Gli ammortizzatori a suo soccorso saranno inferiori al reddito percepito ed incerti. Infatti il prossimo Governo potrebbe fare con essi ciò che Lei ha fatto con le pensioni: la revoca unilaterale di diritti e legittime aspettative acquisiti. Inoltre il sistema contributivo comporterà conseguenze peggiorative di ogni licenziamento perchè ne conseguirà un deterioramento del livello retributivo e quindi dei contributi.
Ma, si dice, c'è l'Europa e quella famosa lettera che pare scritta più da Roma che da Bruxelles o, almeno, risente fortemente di alcune posizioni nostrane, specie in fatto di art. 18 (Sacconi & C.).
L'Italia, nonostante tutto, è uno Stato sovrano, non etero-diretto (tantomeno dalla Danimarca) e questo dell'art. 18 ha un sapore di scelta eminentemente politica ed ideologica da parte di un Europa a maggioranza di destra e da oarte di un partito Suo sostenitore che è parimenti di destra ed avversa fortemente quel diritto. Mancando delle spiegazioni logiche e razionali é questa l'unica spiegazione plausibile.
Le auguro un buon lavoro, per Lei e per tutti gli italiani; si conservi.
Fulvio RebesaniAccedi per inserire un commento
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