Sel sulla cosiddetta riforma del lavoro: ci vuole un altro 23 marzo come nel 2002
Giovedi 22 Marzo 2012 alle 19:54 | 0 commenti
 
				
		Tomaso Rebesani, Coordinatore Provinciale di Sinistra Ecologia Libertà - Le prospettive economiche, la probabilità di mantenere un lavoro se si è impiegati o di trovarne uno se si è disoccupati rappresentano da mesi la fonte principale di tensione e sofferenza per la maggior parte degli italiani. Ce lo riferiscono le statistiche, i sondaggi, i dibattiti sui mezzi di comunicazione, al bar nelle nostre famiglie. Anche se con dati di disagio più contenuti la stessa situazione è vissuta da una netta maggioranza dei vicentini.
Ce lo riferisce la ricerca IPSOS commissionata dal Comune di Vicenza  dove emerge che il problema maggiormente percepito e fonte di maggiore  insicurezza per le persone comuni è la situazione economica e le  prospettive di lavoro.
Questo disagio ha poi delle ricadute  drammatiche nei casi sempre più frequenti da qualche mese a questa parte  di suicidi, estrema via d'uscita per lavoratori, artigiani,  imprenditori che non riescono a reggere il peso di una vita lavorativa  entrata in un vicolo cieco.
In questa situazione di enorme disagio,  in cui moltissime persone stanno pagando prezzi personali e familiari  pesantissimi, cosa fa la nostra comunità nazionale? Invece di prendere  atto dell'enorme difficoltà in cui versa il Paese, e recuperare una  forte dimensione comunitaria nazionale in cui si mettono insieme le  risorse umane, economiche e finanziare per uscire insieme da questo vero  e proprio dramma, ci si divide per cercare di lasciare il conto da  pagare al vicino di tavolo. In certi momenti pare di assistere quasi ad  una gara nell'autoassolversi e nel pretendere i sacrifici dagli altri.  In questo noi di Sinistra Ecologia Libertà, dopo aver dato credito per  alcuni mesi, rileviamo una responsabilità particolare nelle figure che  dovrebbero invece fungere da elemento di coesione, guidare l'Italia  verso un rafforzamento dello spirito comunitario e del patto sociale che  ci rende una nazione: il Presidente della Repubblica e il Primo  Ministro Mario Monti. Le due figure più rappresentative dello Stato in  questo momento hanno invece deciso di perseguire una strategia di parte,  per cui a parola si dichiara che i sacrifici toccheranno tutti gli  italiani, nei fatti le maggiori fonti di gettito sulla base degli atti  di governo fin qui presi hanno inciso sulle pensioni in modo universale,  sulla casa e anche qui aumentando gli oneri per tutti, sull'assistenza  sociale e sanitaria aumentando i costi diretti sui pazienti, sui consumi  attraverso aumenti di IVA che rappresentano solo un inizio di una  politica che quest'anno diverrà ancora più pesante. 
In breve dopo  vent'anni di concertazione, che hanno significato contenimento dei  salari e delle pensioni con progressiva erosione del poter d'acquisto da  parte dell'inflazione, mentre una piccola elite lucrava sulle rendite e  le speculazioni finanziarie, Presidente della Repubblica e Primo  Ministro ci spiegano che l'equità significa far pagare a tutti in modo  uguale una tassa sulla prima casa, aumentare la spesa sanitaria e  sociale diretta, aumentare il costo di qualunque bene tramite l'IVA ed  infine, con le aziende che stanno chiudendo e quindi in mancanza di  lavoro, rendere maggiore la flessibilità in uscita. Questa è la politica  "ineludibile" secondo il Presidente Napolitano ed il Capo del Governo:  con la disoccupazione giovanile quasi al 30% e i cinquantenni,  sessantenni in mobilità o in cassa integrazione, la scelta fondamentale è  rendere più semplice e rapido il licenziamento.
Noi di Sinistra  Ecologia Libertà non siamo d'accordo, e visto che gli attuali nostri due  Presidenti sono fermi ed irremovibili finché le lobby colpite non si  attivano (vedi avvocati, notai, farmacisti, tassisti e soprattutto le  banche) facendo così fallire i tentativi di questo governo di  responsabilizzare altri gruppi sociali oltre ai lavoratori e ai  pensionati, riteniamo sia necessario rimettere in campo la lobby di  coloro che faticano ad arrivare alla fine del mese, o semplicemente non  ci arrivano.
Domani ricorre il decimo anniversario dalla  straordinaria manifestazione di popolo del 23 marzo 2002 in cui milioni  di italiani di ogni età, sesso e religione hanno manifestato contro un  governo diverso nel nome, ma molto simile nella strategia, che aveva  tentato di abolire l'articolo 18. Il tentativo 10 anni fa è fallito, è  necessario che tutti coloro che hanno a cuore il lavoro e vogliono  difendere gli interessi dei ceti più deboli tornino a mobilitarsi come  nel 2002. Solo così potremo ottenere da questo Governo e da questo  Presidente della Repubblica una riflessione sulla reale scarsa equità  della strada che hanno deciso di intraprendere per rimettere in piedi il  nostro Paese.
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