Popolare di Vicenza, Dolcetta lascia ma dichiara: "La banca è salva, ora si può guardare al futuro"
Mercoledi 6 Luglio 2016 alle 10:00 | 1 commenti

Un congedo triste ma, al tempo stesso, sereno: «La banca è ancora in piedi e questo non è un risultato da poco». Così ieri Stefano Dolcetta ha presieduto il suo ultimo Consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Vicenza, uomo della transizione fra la caduta di Gianni Zonin e l’avvento del fondo Atlante, che domani in assemblea farà eleggere Gianni Mion quale nuovo numero uno dell’istituto colpito da una bufera anche giudiziaria. Proprio su questo fronte va segnalata la mossa di 34 azionisti, che oltre a costituirsi nel procedimento penale a carico degli ex vertici, nei riguardi di questi ultimi hanno pure chiesto alla procura berica di far cadere l’ipotesi di ostacolo alla vigilanza, nella convinzione che «la Banca d’Italia non fu ostacolata nel compimento del suo obbligo istituzionale, ma omise — colpevolmente se non scientemente — i dovuti controlli che tanti danni hanno causati alla banca ed a tutti i soci».
Una seduta senza troppi fronzoli, quella che si è tenuta ai piani alti di via Brigata Framarin. «Del resto non c’è niente da festeggiare — ha poi spiegato Dolcetta — perché la situazione è drammatica. Ma quello che è importantissimo è che la banca ora è salva, grazie all’intervento del fondo Atlante. Se l’istituto non fosse stato rimesso in piedi, adesso non si potrebbe fare niente, invece così si può guardare al futuro». Fin da domattina alle 9, quando alla Fiera di Vicenza sono attesi circa 450 azionisti, chiamati a nominare il nuovo Cda (che secondo le indicazioni di Quaestio Sgr scenderà da 18 a 11 componenti, con emolumento complessivo dimezzato e mandato di avviare l’azione di responsabilità ) e il nuovo collegio sindacale, nonché ad approvare la risoluzione consensuale anticipata dell’incarico di revisione legale dei conti con Kpmg.
Avanti dunque, ma nel segno di un’ulteriore discontinuità , dopo quella già impersonata da Dolcetta. Tuttavia il passato non è certamente un capitolo chiuso sul piano giudiziario, come dimostra anche l’istanza di archiviazione formulata dall’avvocato Renato Bertelle per conto dei vicentini, dei veronesi e dei padovani che, titolari da un minimo di 100 ad un massimo di 8.224 azioni, hanno deciso di entrare nel procedimento che vede sotto inchiesta per ostacolo alla vigilanza l’ex presidente Zonin, gli ex consiglieri Giuseppe Zigliotto e Giovanna Maria Dossena, l’ex amministratore delegato Samuele Sorato e gli ex vicedirettori generali Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta e nel quale risulta parte offesa Bankitalia. Per i piccoli risparmiatori quest’ultima non può essere ritenuta vittima di «un reato che di fatto non sussiste», in quanto a loro dire si configurerebbe semmai la fattispecie opposta, vale a dire quella posta in essere da via Nazionale «per non aver impedito, come invece avrebbe dovuto, l’esecuzione dei reati di aggiotaggio, false comunicazioni sociali ed altri». La premessa da cui partono i 34 soci è l’assemblea dell’11 aprile 2015, quando il prezzo delle quote scese da 62,50 a 48 euro: «Ciò sta a significare indubitabilmente che il valore delle azioni era sopravalutato della percentuale rilevante di oltre il 23%». Una «inesatta valutazione» che, per l’avvocato Bertelle, era nota alla Banca d’Italia già dal 2001, quando i suoi ispettori rimarcarono che le modalità di determinazione «non sono ispirate a criteri di oggettività , ma esprimono il risultato di un compromesso di valutazioni dei singoli consiglieri», tanto che fino al 2014 il valore del patrimonio sarebbe stato artificiosamente gonfiato per «un multiplo di 1,66».
Secondo i risparmiatori, nonostante questi rilievi Bankitalia non avrebbe però elevato alcuna sanzione, né avrebbe promosso altre ispezioni. Solo il subentro della Bce nel controllo ispettivo avrebbe consentito di accertare, ma ormai nel 2015, «le esagerate valorizzazioni degli avviamenti e dei crediti in bonis ».
Di Angela Pederiva, dal Il Corriere del Veneto
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