Nosiglia, il vescovo-Pilato
Martedi 16 Novembre 2010 alle 08:39 | 0 commenti

Si trasferisce a Torino il prelato che da capo della diocesi berica s'è lavato le mani sulla questione Dal Molin. Un atteggiamento molto poco cristiano
L'arcivescovo Cesare Nosiglia, ligure di nascita, passa dalla diocesi di Vicenza a quella di Torino, ma va via più vicentino di quando è arrivato. Cosa c'è di più vicentino, infatti, di evitare deliberatamente di schierarsi in una contesa mettendoci la faccia? E' esattamente quanto ha fatto il presule riguardo l'annoso conflitto politico che ha visto la città dividersi fra favorevoli e contrari alla seconda base americana.
L'ha rivendicato, questo suo non esporsi, come fosse stato uno stato di necessità , quasi una costrizione dovuta al ruolo di pastore nel cui gregge coesistono opinioni diverse (e come potrebbe essere altrimenti?). Sentite qua: «Schierandomi avrei diviso la Chiesa cittadina, la comunità cristiana. Mentre era necessario un dialogo equilibrato, ragionevole, armonioso. Ho accolto la posizione del Consiglio pastorale dove al suo interno ci sono più anime sia laiche che religiose. Non ho preso una posizione pubblica per valorizzare la laicità all'interno di un dibattito che poteva creare solo divergenze e spaccature» (Giornale di Vicenza, 14 novembre 2010). La sua posizione, dice lui, è stata giusta perché equilibrata, ed è stata equilibrata perché equidistante. E ha dovuto fare così per non contribuire ulteriormente allo scontro, evidentemente nella convinzione che un buon cristiano debba fuggire "divergenze e spaccature". Col sovrappiù di sensibilità civile nei riguardi della "laicità ": non ha detto di essere né a favore né contro il Dal Molin Usa perché altrimenti avrebbe commesso un'ingerenza nella vita politica cittadina.
Guerra!
Tutte queste argomentazioni non stanno in piedi neanche con la stampella. Per cominciare, noi ricordiamo un Gesù evangelico che così predicava: «Ma sia il vostro parlare: sì, sì; no, no». Non ammetteva l'astensione dal dibattito, il Nazareno. A maggior ragione perché il caso della Ederle bis investe un tema fondamentale per la relazione della religione cristiano-cattolica col mondo: l'uso della violenza, la guerra. Lungi dall'essere esperti di catechismo, sappiamo tuttavia che la Chiesa romana non condanna il ricorso alla forza militare se usata per difesa. Condanna però la violenza offensiva, l'aggressione. Rammentiamo a Nosiglia, che forse ha fatto finta di non accorgersene, che i soldati americani della 173sima brigata riunita nelle due basi vicentine sono gli stessi che combattono in Irak e Afghanistan. Che sono due paesi invasi e occupati dagli Stati Uniti e dai loro alleati (compresa la servile Italia) conculcando l'indipendenza di due popoli. Il Vaticano, per lo meno, ha avuto la decenza di dichiarare sbagliate queste due guerre. Perché tali sono: guerre d'invasione. Non di "liberazione", né "umanitarie". A meno di non farci credere che la Washington imperiale consumi fior di miliardi di dollari in spese militari per puro buon cuore. O per esportare una "democrazia" che né gli irakeni né gli afgani vogliono.
VicentinitÃ
Ce n'è abbastanza per farsi un'idea del significato del Dal Molin a stelle e strisce: un avamposto in terra italiana dei disegni di conquista degli Usa. A noi pare che un cristiano sia sufficientemente autorizzato come minimo a una presa di distanza. Sarebbe stato già qualcosa, da parte del vescovo della città . Invece niente. Anche perché guai a sembrare un prete combattente che getta benzina sul fuoco. Non sta bene. Ma questa è l'oleografia del chierichetto zitto e buono, e quindi fesso e pauroso. Non di un seguace di Cristo che fra le altre cose disse anche "non sono venuto a portare pace, ma una spada", e che al tempio diventato un bordello di mercanti si lasciò andare ad una sacrosanta furia devastatrice. Lui forse non si faceva molti problemi nel suscitare "spaccature". Se ne fregava, faceva quello che per lui doveva essere fatto. La preoccupazione molto cardinalizia di non fomentare divisioni, lasciatecelo osservare, ci pare quanto di meno cristiano ci sia. E' invece un'attitudine borghesucola, attenta più a non disturbare il manovratore che a rendere concreto il messaggio evangelico, una comoda scappatoia onde svicolare dal confronto duro col potere politico e con gli interessi economici. E' frutto di un calcolo, più che di un'autentica testimonianza del Vangelo. E', in fin dei conti, il cristianesimo della Chiesa: anticristiano ("L'ultimo cristiano morì sulla croce", scriveva Nietzsche). Anticristiano e vicentino, perché a Vicenza uno meno si espone e più è darwinianamente adatto all'ambiente. Goffredo Parise la chiamò vicentinità : "La costante tendenza, cioè, a frenare e forse a dissolvere prima del loro compiersi quei moti dell'animo, del pensiero e della carne che conducono ai fatti e, di conseguenza, alle conseguenze. Cioè, ancora, una forma di prudenza, di diffidenza, di avarizia che potrebbe apparire anche soltanto borghese, o per meglio dire di amministrazione dei sentimenti che tende inesorabilmente alla staticità , alla immobilità ...".
Non-ingerenza?
Infine, la sóla della premura perché la discussione pubblica sulla nuova base americana si svolgesse laicamente. Ma per piacere. La Conferenza Episcopale Italiana, di cui Nosiglia, burocrate di stampo ruiniano, è vicepresidente per il Nord Italia, ha ingerito e ingerisce su scuole cattoliche, 5 per mille, beni ecclesiastici, bioetica, fisco, coppie di fatto, lavoro, stabilità istituzionale, e poi sul fatto che ci ritroviamo in casa la politica imperialista dell'alleato-padrone statunitense non può dire come la pensa per bocca del vescovo locale? A noi stanno sulle scatole le tonache che vanno in tournèe in tutto il paese a far sapere la propria idea anche sulla legge elettorale, i presenzialisti che fanno i piacioni nei salotti televisivi, i tuttologhi che invece che servire messa e pensare alla cura d'anime preferiscono cazzeggiare da Fazio su Rai3. E tuttavia è insopportabile anche il prelato-fantasma che come Pilato non si sporca le mani su questioni che riguardano direttamente l'essenza stessa del credo per cui ha preso i voti: l'amore. Che a noi, se ci immedesimiamo in chi ha fede, risulta essere l'opposto assoluto del male inferto con la guerra. Ma, dico, dev'essere uno che non è neppure pacifista a ricordare a un vescovo il suo dovere di scegliere sempre e comunque la pace al posto dei fucili americani?
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