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"L’intreccio rischioso tra casa, capannone e banca locale": l'editoriale del sociologo Aldo Bonomi su Il Sole 24 Ore

Di Rassegna Stampa Mercoledi 17 Agosto 2016 alle 15:19 | 0 commenti

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Non sono rimasto indifferente all’editoriale di Ernesto Galli della Loggia, che, a proposito del fallimento delle banche locali, domenica 7 sul Corriere, scrivendo di “quei notabili tra soldi e potere” svela che cosa “veramente é l’Italia dei tanti esaltati territori”. Lungi da me il difendere l’indifendibile. Per di più di fronte ad una visione storica che ha sempre posto come questione l’incompiuta empatia tra statualità e territorio nel farsi e sentirsi nazione. Tracce di un pensiero leopardiano che scriveva di un’Italia in divenire, sociologicamente segnata dalla faglia tra una società stretta ed una società larga. Tematiche del saggio di Giulio Bollati sul carattere degli italiani spaccato da sempre tra un primo ed un secondo popolo.

Il che rimanda, sia ai limiti di una kultur di un primo popolo incapace di una visione da statualità egemone, che alla civilizzazione disordinata e localistica di un secondo popolo del contado. L’editoriale scava impietosamente nella civilizzazione incompiuta dei territori, nella microfisica dei poteri dei notabili locali. Da capitalismo relazionale, da società chiusa. Non a caso anni fa con De Rita, disvelatore di questo gene egoista e con Cacciari, allora impegnato con il partito dei sindaci, a proposito di deficit dell’élites locali ci interrogammo sul “Che fine ha fatto la borghesia”. Occorre scavare nel perché la coscienza dei luoghi, evocata da Giacomo Beccattini, non ha prodotto una coscienza delle élites locali oltre il notabilato, adeguata ai tempi. Se partiamo dalla società stretta e dalla società larga di Leopardi, non v’è dubbio che sovrapponendo la mappa della mezzadria del secondo popolo all’Italia dei distretti, avremo la geografia del capitalismo di territorio con tanto di banche locali in sofferenza, nel centro e nel nord del Paese (altra è la mappa del latifondo che rimanda al sud con tanto di baroni e cafoni). Ben colse questa simbiosi di territorio un altro marchigiano, Giorgio Fuà, che scriveva del metalmezzadro sincretica figura di produttore-lavoratore ed auspicava uno sviluppo senza fratture. Il tutto avvenne, a proposito di statualità e territorio, ovattato in un non detto, in un patto non scritto. Da una parte lo Stato e i partiti di massa ed alcuni di micro élites in rapporto con la grande impresa (Fiat), nell’Iri e nelle grandi banche d’interesse nazionale, e dall’altra, in una specie di compromesso storico di territorio, che coinvolgeva anche il Pci, lo sviluppo locale, i distretti, le Camere di Commercio, dopo sarebbero arrivate le Regioni. Siamo cresciuti così in forma duale formando a proposito di classi sociali, l’invaso dei ceti medi studiati da Sylos Labini. Oscillando non solo tra kultur e civilizzazione, tra statualità ed autonomie locali nella governance, ma anche schizofrenici nelle tematiche economiche tra grande impresa e grandi banche e piccolo è bello e banca locale. Il patto non scritto non ha poi retto la sua scrittura federalista, trasformandosi in un sindacalismo di territorio nella devolution abborracciata verso le Regioni del Titolo V e nel venire avanti di un leghismo con velleità da secessione e di un berlusconismo da individualismo proprietario con il motto: crescete, arricchitevi e moltiplicatevi. Beccattini colloca nella lunga deriva della storia lo sviluppo locale dei distretti, sostenendo che fare impresa è un progetto di vita che rimanda alle virtù civiche (Putnam) di cui Galli della Loggia denuncia la scomparsa nel notabilato che ha come progetto solo “arricchirsi per arricchirsi sempre di più”. Che, sarà bene ricordare, è la variante provinciale e meno british delle stock option, dei banchieri di Wall Street e della City. Il fallimento e la crisi delle banche locali svela la fine di un ciclo. L’esaurirsi del vitalismo del fare impresa all’ombra del campanile più che a quello della storia. Partendo dal sottoscala della cascina collegandosi con il sindaco imprenditore per fare il capannone, in simbiosi con la banca locale si diventa notabile in Camera di Commercio ed infine si entra nel Consiglio della Banca. In un intreccio da localismo metodologico a reti corte nel circuito ossessivo del “casannone”, la casa, il capannone e la banca locale con le sue adunate di capitalisti molecolari-azionisti. L’antropologia del capannone non basta più e non ha retto il salto d’epoca, occorreva alzare lo sguardo. Passare dai distretti alle piattaforme produttive per produrre e per competere, creando aggregazioni di banche e di imprese, filiere in grado di confrontarsi con la discontinuità della globalizzazione. Per fortuna non è andata solo così. In questo humus di territorio hanno messo radici medie imprese che sono l’ossatura resiliente del nostro capitalismo, con i piedi nel territorio e la testa nel mondo. Tracce di un’élite produttiva che si occupa di industria 4.0, di reti lunghe di export, e forse proprio per questo, non si è fatta neoborghesia nei territori del notabilato. Si vedrà. Quel che so è che la soluzione non può essere solo la desertificazione del locale, del territorio, ove a breve precipiteranno le sofferenze bancarie simulate nei falsi bilanci, ma reali per il secondo popolo dei capannoni e dei mutui per le villette a schiera. La soluzione non è la semplice disintermediazione di ciò che sta in mezzo tra flussi e luoghi e tra statualità e territori. Concordo con Galli della Loggia che chiude il suo editoriale auspicando un di più di politica con una visione di “fini collettivi e più alti” da patriottismo dolce direi e da statualità operosa. Ma per far questo occorrono nervature degli interessi e delle passioni che rimandano alla crisi delle forze sociali e dei partiti che attraversa territorio e statualità. E’ la questione. Perché la desertificazione del territorio produce rancori e populismi. Che se non scomposti e ricomposti nella politica, senza scomodare la Brexit o la provincia americana che vota Trump, ci basta l’Italietta, produce il territorio come enclave. Per questo mi pare utile continuare a raccontare i microcosmi del territorio. 
di Aldo Bonomi da Il Sole 24 Ore

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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