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"Questa è la nostra storia, questi siamo noi", Zuccato all'assemblea di Confindustria

Di Redazione VicenzaPiù Martedi 5 Luglio 2011 alle 01:21 | 0 commenti

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Confindustria Vicenza  -  Assemblea generale, lunedì 4 luglio 2011, Parte pubblica (qui il nostro servizio)

Intervento del presidente Roberto Zuccato

Questa è la nostra storia. Questi siamo noi.
Noi tutti avevamo un sogno. E i nostri sogni li abbiamo trasformati in imprese. Questa è la nostra storia. Questo è il mondo che io ho avuto la fortuna e l'onore di rappresentare negli ultimi anni. L'associazione degli imprenditori industriali della provincia di Vicenza, di una provincia importante, esemplare, come poche altre, forse come nessun'altra.

Perché il legame tra la nostra terra, il lavoro, l'impresa e gli imprenditori è forte e profondo. Un legame che riassume tutti gli elementi che compongono il ritratto del Nordest. Il mito Nordest, una realtà che, più di ogni altra, ha contribuito allo sviluppo di questo Paese negli ultimi quarant'anni. Una realtà nella quale imprenditori, persone, famiglie e luoghi si confondono e allo stesso tempo si identificano.

L'impresa vicentina è divenuta un'espressione di "capitalismo popolare" negli anni Cinquanta. Ed è da lì che parte la biografia che noi, tutti noi, abbiamo contribuito a scrivere.

Un capitalismo che è nato per necessità e che si è sviluppato approfittando del mercato mondiale che si apre. E chiede prodotti sempre nuovi, sempre diversi.

Noi, i vicentini, come i cittadini di altre aree del Nordest e del Paese, eravamo pronti a farci coinvolgere. Da allora abbiamo continuato a fare impresa e a innovare, di continuo. Per necessità. Perché se non innovi i prodotti, se non ti adatti alle continue variazione della domanda dei mercati, chiudi. E noi, produttori di beni di consumo e di beni strumentali, abbiamo sempre innovato.

La nostra impresa ha una lunga storia alle spalle, ma diventa un fenomeno di massa negli anni Cinquanta, trascinata dai giovani di allora. Da operai ad artigiani, a piccoli imprenditori a industriali, è la storia di molti vicentini, presenti in questa sala. E' anche la mia storia. Ed è, come le vostre, una storia fatta di sacrifici, perché il lavoro, l'impresa costano fatica.

E i vicentini, i veneti hanno sempre faticato. La fatica fa parte della nostra identità. Noi, giovani di allora, abbiamo faticato per costruirci il futuro.

Con la caduta del muro di Berlino il mondo si è aperto ancora di più, e noi, periferia, al confine del muro, siamo divenuti un crocevia.

Abbiamo allargato la nostra presenza sui mercati ad Est. Mentre, nel frattempo, il mondo è arrivato da noi, con gli immigrati alla ricerca di lavoro, in fuga dalla povertà e da altri problemi.

LO SCENARIO MONDIALE

Il mondo ci ha offerto nuove opportunità ma ci ha imposto anche nuove sfide lanciate da nuovi contesti che si sono inseriti sul mercato. Nuove economie e nuovi popoli, giovani, giovanissimi, con tanta fame, tanta voglia di recuperare il tempo perduto. Come noi, appunto, negli anni Cinquanta e Sessanta, quando la nostra economia cresceva a tassi del 6-7% all'anno. Mentre oggi purtroppo facciamo fatica a superare l'1%. Oggi sono le economie dell'Asia e dell'America Latina a mostrare i più elevati potenziali di crescita.

Basti pensare che tra il 2007 e il 2010, in soli in tre anni, i paesi emergenti asiatici sono passati dal 20 al 30% del valore della produzione industriale mondiale. La Cina è così diventata il primo paese per valore aggiunto manifatturiero, mentre l'Italia è scesa dal quinto al settimo posto, superata dall'India e dalla Corea.

E in questi processi che stanno ridisegnando la geografia globale dello sviluppo, una realtà a forte vocazione industriale come Vicenza e il Nord Est rischia fatalmente di soffrire di più.

Ma proprio perché non è nel nostro carattere arrenderci di fronte alle difficoltà, dobbiamo ribadire con forza la centralità dell'industria nello sviluppo economico.
Meno industria non significa solo meno occupazione e minor gettito fiscale, ma anche meno esportazioni, meno innovazione, meno imprese vere attorno alle quali può e deve crescere un terziario di qualità.

Ed è proprio sulle spalle del nostro manifatturiero che si regge la tenuta di questo Paese. Non a caso, anche in altre nazioni, è stato rivalutato come fonte duratura del benessere. Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno deciso di puntare con decisione sul rilancio dell'industria manifatturiera.

La Germania, questo, l'ha fatto da tempo e i risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti. Il PIL è passato da un -4,7% nel 2009 ad un +3,6% nel 2010, per arrivare addirittura a +5,2% nel primo trimestre di quest'anno.

E' un paese in cui la classe dirigente sa assumersi il rischio di scelte impopolari come riformare il welfare e il mercato del lavoro perché agisce con l'obiettivo del bene comune. Una classe dirigente che nel momento più difficile della crisi ha aumentato il budget per la formazione e la ricerca. Che sa integrare pubblico e privato.

La Germania ha saputo agganciarsi ai grandi treni dello sviluppo mondiale. Ha capito in tempo che i paesi emergenti hanno bisogno di tecnologie industriali e di energia, anche quella da fonti rinnovabili. Ha capito che gli emergenti non vogliono essere solo un mercato per le nostre esportazioni ma ha capito che cercano partner affidabili, con i quali costruire la propria storia, da protagonisti come lo siamo stati noi.

L'ITALIA DEVE CAMBIARE PASSO

E l'Italia? L'Italia purtroppo si è fermata. Da 20 anni ormai perde competitività. Il nostro vecchio modello di sviluppo non tiene più! Lo dicono gli imprenditori di Vicenza nel sondaggio che l'Istituto Demos di Ilvo Diamanti ha realizzato per nostro conto. Lo hanno detto tanti piccoli imprenditori alle assise di Bergamo.

Per uscire dalla crisi dobbiamo cambiare passo e trovare un posizionamento competitivo più soddisfacente. Dobbiamo lavorare ancora di più sulla qualità e sul contenuto tecnologico dei nostri prodotti, sull'efficienza dell'organizzazione industriale, sulla distribuzione e sulla capacità di soddisfare clienti sempre più esigenti e difficili da servire.

Se questo è l'impegno, o meglio ancora, l'imperativo con il quale ciascuno di noi fa i conti ogni giorno quando va in azienda, è evidente che la politica non si pone la stessa urgenza e sembra invece avere ben altre priorità.

In altre parole, abbiamo la sensazione che in quel contratto sociale che è alla base del rapporto tra cittadini e Stato, uno dei due contraenti non stia rispettando i suoi impegni.

Avevamo riposto grandi speranze nell'avvento del federalismo fiscale, ma ad oggi non abbiamo ancora visto il ben che minimo effetto benefico da quella riforma tanto acclamata. Per non parlare di tutte le altre riforme con cui si riempiono pagine e pagine di giornali.

Basta! La misura è colma. Se non vogliamo correre il rischio di fare la fine della Grecia è necessario che la nostra classe politica comprenda che non c'è più tempo da perdere.

E' arrivato il momento di assumersi fino in fondo le proprie responsabilità: le riforme non sono più rinviabili e vanno fatte da tutte le forze politiche assieme. Ce l'ha insegnato la Germania: le misure impopolari, ma in grado di cambiare un paese, si devono prendere con il più ampio coinvolgimento delle forze politiche, economiche e sociali.

Luigi Einaudi diceva che «nella vita delle nazioni di solito l'errore di non saper cogliere l'attimo fuggente è irreparabile». E' una frase che dovremmo tenere ben presente: il rischio di non riuscire ad agganciare la ripresa è sempre più elevato.

In una gara di mezzofondo il ritmo non lo detta chi è in fondo al gruppo ma chi è in testa. La Germania tira, noi arranchiamo in coda. Sembriamo un atleta talentuoso, dalle grandi potenzialità, ma che si è presentato alla gara con uno zaino pieno di sassi. Quei sassi sono la burocrazia, le imposte troppo alte, la giustizia che funziona solo in parte.

Fino ad oggi siamo riusciti a sopravvivere con l'esperienza e la forza di volontà ma se non ci liberiamo dello zaino finiremo per essere definitivamente staccati. C'è bisogno di un vero e immediato scatto in avanti.

Ma non siamo qui a chiedere protezioni o aiuti di stato. Chiediamo semplicemente che vengano create le condizioni per rendere più competitive le nostre imprese e poter così agganciare la ripresa della domanda mondiale.

E sappiamo bene quale è il compito che dobbiamo giocare in questa partita. E' l'ennesima grande impresa che dobbiamo compiere. E tocca a noi! Tocca a noi disegnare il nuovo modello industriale dell'Italia nella globalizzazione.

Negli anni '60 erano Milano, Roma e Torino a dettare la linea. Oggi tocca a noi inventare il modo di mettere assieme i mille piccoli pezzi dell'economia diffusa. Ma non facciamoci illusioni: siamo soli! Bene, allora rimbocchiamoci le maniche e ricominciamo!

LE PRIORITA' PER RIPARTIRE

Tre sono i punti prioritari per ripartire, anche da soli, perché si tratta di questioni che richiedono decisioni imprenditoriali.

Il primo punto: l'aggancio alle locomotive globali.

La domanda globale ha continuato a crescere e crescerà sempre più lontano dai nostri mercati domestici. Le previsioni ci dicono, infatti, che la classe media nel Sudest asiatico è già oggi formata da mezzo miliardo di consumatori equiparabili a quelli occidentali, ma nel 2030 diventeranno oltre 3 miliardi, con un potere di spesa di 32 mila miliardi di dollari, il doppio di Europa e Stati Uniti messi assieme!

E noi dobbiamo esserci in quei mercati, e investire in reti produttive, distributive e logistiche. Ma per fare questo abbiamo bisogno di imprese più robuste, con maggiori competenze tecniche, manageriali, finanziarie e anche legali. E se molte piccole imprese non possono permettersi di avere al loro interno queste competenze, dobbiamo allora mettere insieme le forze.

Ma abbiamo anche bisogno di un sistema-paese che ci aiuti ad andare all'estero. Bene ha fatto quindi il Governo a tagliare le sedi inutili dell'ICE in Italia e a passare quelle estere sotto il coordinamento della Farnesina.
E nei paesi dove non ci sono sedi, noi proponiamo di valorizzare quelle Camere di Commercio estere che si sono distinte per la loro efficienza.

Ma per investire all'estero abbiamo anche bisogno di un sistema bancario più presente in questi nuovi mercati, abbiamo bisogno di università che formino competenze di livello internazionale, e abbiamo bisogno di diplomazie economiche di qualità, che affianchino le imprese nei rapporti con le istituzioni dei paesi di destinazione.

Il secondo punto prioritario è quello di tornare a crescere come imprese.

Dobbiamo approfittare di una delle poche iniziative che il governo ci ha messo a disposizione: mi riferisco alla defiscalizzazione degli utili re-investiti nelle reti d'impresa, reti che servono a creare un modello più competitivo di organizzazione industriale. Dobbiamo creare nuove forme di aggregazione tra aziende e dobbiamo sperimentare modelli più efficaci e robusti di impresa.

Senza fondi pubblici com'è successo con la politica regionale dei distretti, ma attraverso la collaborazione di imprenditori che vogliono crescere, conquistare nuovi mercati, imprenditori che voglio innovare davvero. E chi ci sta, ci sta!

La terza priorità si riferisce al mercato del lavoro.

Dobbiamo spostare le relazioni industriali sul tema centrale della produttività.
Il recente accordo tra Confindustria e sindacati confederali è un'importante obiettivo raggiunto, un buon punto di partenza. E in questo, voglio sottolinearlo, grande merito va riconosciuto - ancora una volta - alla tenacia e alla determinazione della nostra presidente Emma Marcegaglia, alla quale confermiamo tutto il nostro sostegno.

Dobbiamo rafforzare la parte operativa di quell'accordo prendendo in mano la crescita della produttività e dobbiamo trovare strumenti nuovi per accelerare il rilancio delle nostre aziende.

E qui consentitemi di aprire una breve parentesi: voglio approfittare di questa occasione per ringraziare pubblicamente le forze sindacali della nostra provincia. Hanno dimostrato, anche nei momenti più duri della crisi, un senso di responsabilità e una capacità di condivisione non comuni. Abbiamo remato tutti nella stessa direzione, consapevoli che se non l'avessimo fatto la corrente avrebbe trascinato via tutti. E non avrebbe fatto distinzione tra imprenditori e dipendenti. Mi sembra che, per fortuna, lo stesso modello cominci a farsi strada anche a livello nazionale.

Ed è con questi punti in mente che oggi ci troviamo a riflettere sulla nostra storia e ad interrogarci sul nostro futuro. Su quel che avverrà. Sapendo che rispetto al passato sono cambiate molte, moltissime cose. Anche tra di noi.

Rispetto agli anni Cinquanta, quando è partita la nostra rincorsa allo sviluppo, al benessere, alla conquista del mercato, al successo, rispetto ad allora la differenza maggiore è che nel frattempo siamo invecchiati. Noi imprenditori, insieme alla società vicentina e alla società italiana. Inutile nascondercelo.

È sempre così quando si conquista il benessere: la natalità cala, l'età media si allunga. E una società che invecchia fatica a innovare, a creare nuovi prodotti, a organizzare nuovi processi. Si fa più fatica anche a sfidare i mercati, ad affrontare il mondo.

Nel commento alla fiaba del "Gatto con gli stivali" Carlo Collodi scrive: «Godersi in pace una ricca eredità, passata di padre in figlio, è sempre una bella cosa: ma per i giovani, l'industria, l'abilità e la svegliatezza d'ingegno valgono più d'ogni altra fortuna ereditata».

E non è un caso se oggi qui sul palco, al mio fianco, abbiamo voluto invitare un gruppo di giovani studenti provenienti dall'Università e dalla Fondazione CUOA, ragazzi che studiano nella nostra città. Proprio per sottolineare che l'urgenza con la quale invitiamo la classe politica a fare le riforme e ad impegnarsi nella crescita del Paese è prima di tutto un impegno nei loro confronti.

SOCIETA' E IMPRESA, I PROBLEMI DA AFFRONTARE

Senza nasconderci però il fatto che il rapporto fra società e impresa, nella nostra realtà, sconta una serie di problemi che dobbiamo avere il coraggio di affrontare.

Il primo problema è di tipo demografico. Mancano forze di lavoro, soprattutto nell'industria. E anche se la crisi, per ora, ha ridimensionato questo problema, manca il ricambio generazionale.

Da noi storicamente si assiste a un largo turn-over. Molte piccole imprese chiudono e molte altre avviano le loro attività. Ma ciò è difficile senza giovani disposti a faticare e a rischiare. A impegnare il loro futuro in questo modo.

E qui scatta un secondo problema, che è di tipo culturale e di valore.
Nella nostra società, il lavoro e l'impresa hanno sempre costituito un modello di riferimento. Ma da tempo ormai, anche da noi, il valore del lavoro manuale è in costante declino. E non c'è più la determinazione, la rabbia che hanno spinto noi e i nostri genitori e i nostri nonni a faticare e a rischiare. A mettersi in proprio perché non c'era alternativa. A innovare perché non c'era alternativa.

D'altra parte il lavoro, per essere un valore condiviso, deve mantenere le sue promesse, di reddito, di riconoscimento e di mobilità sociale. Ma oggi non è più così, soprattutto per i più giovani che sono precari per definizione.

La precarietà, però, impedisce di guardare lontano, nel tempo. Di progettare il futuro. Perfino di immaginarlo. Così, nel guardare al futuro dei giovani, gran parte dei vicentini non vedono possibilità di miglioramento e di mobilità sociale. Al massimo, ritengono realisticamente, che i giovani manterranno la posizione sociale dei genitori.

Anche questo è un dato che emerge dall'indagine condotta nelle scorse settimane da Demos. E dalla ricerca scaturisce che per avere delle serie possibilità di carriera, i giovani dovrebbero emigrare, fuggire all'estero. Non, come i nostri avi, per fame o per disperazione. Non come gli immigrati che da 15 anni arrivano da noi. Ma, lo ripeto, per potersi costruire un futuro professionale, una carriera in cui credere. E questo lo pensano ben 6 vicentini su 10. Molti più che nel resto del Veneto e del Paese.

Sono dati a cui conviene dedicare grande attenzione, perché ci riguardano da vicino, in modo diretto. Riguardano la nostra società, il nostro territorio, le nostre imprese. Riguardano la nostra Associazione. E ci invitano, senza possibilità di equivoco, a investire in un nuovo patto tra generazioni, in un nuovo accordo tra vecchi e giovani per un nuovo modello di sviluppo. Come priorità ma anche come necessità.

LE PROPOSTE CONCRETE

Prima di entrare nel merito di alcune proposte concrete su questo tema consentitemi un'ultima osservazione.

Rispetto al mondo che abbiamo conosciuto all'inizio della nostra avventura, quel territorio descritto magistralmente da Luigi Meneghello, una cosa è cambiata in modo radicale a causa della globalizzazione. I giovani non vedono il territorio in cui sono nati come scenario della propria vita futura.

E' evidente che per soddisfare le esigenze dei giovani, di tutto il mondo, un territorio deve essere attrattivo, deve poter offrire delle opportunità.

Nel corso di quest'anno sono stato invitato all'inaugurazione di nuove sedi produttive, di nuovi uffici direzionali: grandi e famose aziende, altre meno note ma non meno importanti per il nostro territorio. Ho visitato centri di ricerca, ho visto aziende che esportano in tutto il mondo ma che continuano, e si ostinano, a mantenere qui la loro testa. Ma al di là di queste ammirevoli, coraggiose, visionarie imprese, quali opportunità offre il nostro territorio ai giovani d'oggi? Quali sistemi di mobilità, quale ambiente culturale, quali servizi, quali esperienze sociali e quali strumenti di contatto con le frontiere dell'innovazione e della green economy?

E allora è importante agire in 4 direzioni.

La prima è quella di aprire le nostre aziende ai giovani, attraverso stage ed altre esperienze che permettano loro di sperimentare e di sperimentarsi. Senza però farne dei lavoratori precari a titolo semigratuito.

Promuovendo percorsi di inserimento nel mercato del lavoro, che premino i giovani che hanno investito nell'istruzione e che possono portare nuove conoscenze e nuove idee alle nostre imprese. E sull'apprendistato, prima approviamo la riforma e prima faremo un favore ai nostri giovani.

La seconda direzione è quella di promuovere incubatori di nuove imprese e di nuovi imprenditori, sostenendo le idee e i progetti più promettenti.

Come mostrano numerose esperienze internazionali, questo è possibile farlo attraverso il nostro impegno, il coinvolgimento delle Università e il sostegno di banche ed enti locali.

Perché le nuove imprese nascenti porteranno sul mercato nuovi prodotti, spingeranno le imprese esistenti ad essere più efficienti e potranno fornire loro tecnologie e servizi che le aiutino ad essere più competitive. Nuove imprese formate da giovani permettono perciò al nostro tessuto imprenditoriale di rinnovarsi. Di continuare ad innovare.

La terza direzione è quella di favorire e sostenere le imprese delle giovani donne, che sono una vera novità. Non tanto per un criterio egualitario di pari opportunità, ma perché nelle nostre aree si sta realizzando un processo per cui sono sempre più spesso le donne la componente più istruita, che ottiene i migliori risultati a livello scolastico. Ma gli uomini, i maschi, restano i favoriti nella successione delle attività familiari. Dobbiamo restringere questa forbice anche sostenendo e promuovendo l'imprenditorialità femminile.

Infine, dobbiamo favorire la crescita professionale e una nuova imprenditorialità degli immigrati. È una realtà sempre più ampia, anche qui da noi. Parlano la nostra lingua, hanno figli che frequentano le nostre scuole. E sono giovani, animati da quella voglia di riuscire, di costruirsi il futuro che noi avevamo un tempo. Dobbiamo favorire questa integrazione. E non solo per solidarietà.

Inoltre, se vogliamo continuare ad essere una delle aree di eccellenza mondiale della manifattura, dobbiamo attrarre giovani talenti, non solo trattenere i nostri.

Per questo serve anche il contributo della Scuola e dell'Università, che devono aprirsi di più al mondo, come da tempo hanno fatto le nostre imprese.

Per questo Confindustria Vicenza ha fortemente voluto e promosso l'istituzione di un corso di laurea in economia interamente in lingua inglese e sta inoltre definendo un accordo di collaborazione tra le aziende associate e il prestigioso MIT di Boston.


LE PRIORITA' DEL PAESE

Questo è ciò che possiamo e dobbiamo fare noi imprenditori. Ma per tornare ad investire, a crescere e creare occasioni di lavoro per i giovani, le imprese non possono tuttavia essere lasciate sole. Non a caso era questo il messaggio che ho lanciato un anno fa da questo podio: "Da soli non ce la possiamo fare."

E' passato un anno da quell'appello e oggi gli imprenditori vicentini si sentono sempre più soli e delusi dalla classe politica. Si sentono periferici rispetto alla politica, nello stesso identico modo in cui i giovani si sentono ai margini della società. Perché, purtroppo, c'è un abisso tra la nostra agenda e quella della politica. Tra l'agenda del Paese reale, che lavora e che produce, e quella di chi trascorre il suo tempo a litigare e a produrre ben poco di concreto.

Confindustria ha da tempo indicato le priorità al governo.

Una grande riforma fiscale, che semplifichi il sistema e che sposti il carico fiscale dai lavoratori e dalle imprese alle rendite finanziarie e ai consumi. E' un'operazione che deve necessariamente essere fatta a costo zero perché l'enorme debito pubblico non ci permette vie alternative.

La riforma fiscale può inoltre diventare un formidabile strumento di lotta all'evasione, fenomeno che in Italia costituisce un fattore patologico di ingiustizia sociale e di distorsione della concorrenza, e al quale non è rimasto estraneo nemmeno il nostro territorio.

Abbiamo condannato con forza gli episodi di criminalità fiscale emersi in questi anni e continueremo a collaborare con le autorità. Ma dobbiamo anche dire che la lotta all'evasione diventerebbe molto più efficace se avessimo un fisco che rispetta di più chi lavora e fa impresa.

E se lo Stato si impegnasse in modo serio e trasparente ad utilizzare ogni euro sottratto all'evasione per ridurre la pressione fiscale, sicuramente otterremmo sia uno sviluppo della fedeltà fiscale, sia un allargamento della base imponibile per effetto della maggiore crescita. Cosa si aspetta allora ad introdurre questa semplice regola di civiltà fiscale?

La seconda priorità è quella di ridurre il debito pubblico, che contribuisce a generare un costo fiscale già oggi insopportabile e che grava come un'ulteriore tassa sul futuro dei nostri giovani. Un fardello da 80 miliardi di interessi l'anno che frena lo sviluppo del Paese.

Altro dato preoccupante è lo spread tra BUND tedeschi e BTP decennali, uno degli indicatori più osservati per capire la percezione dei mercati nei confronti del rischio paese. Ebbene, in questi giorni ha toccato il massimo storico dall'ingresso nell'euro, superando i 200 basis point.

Il nostro debito ammonta a 1890 miliardi di euro, una cifra che solo a dirla mette i brividi. Ma non possiamo più pensare di pagare il debito alzando le tasse o tagliando i servizi. Non c'è che una strada da perseguire: quella della crescita. Perché senza la crescita non si potrà mai ridurre il debito pubblico.

La terza priorità è quella ridurre gli sprechi, i privilegi e l'invadenza della politica.

Vi voglio fare un esempio concreto. Qualche giorno fa la nostra associazione ha presentato un piano per ridare senso e scopo al CNEL, il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro. Un ente, previsto dalla Costituzione, che dovrebbe fornire consulenze alle Camere e al Governo, e che nei suoi 54 anni di vita ha faticosamente messo a punto la bellezza di 14 proposte di legge, nessuna delle quali ha raggiunto il traguardo dell'approvazione parlamentare. Alcune di queste proposte sono addirittura di portata storica come quella sulle agevolazioni bancarie ai pescatori.

Quello mio potrebbe sembrare facile sarcasmo se non fosse che mediamente ognuna di queste proposte ci è costata l'incredibile cifra di 100 milioni di euro!

E allora, la proposta che viene da noi, è quella di dimezzare il costo del CNEL e di utilizzare le risorse risparmiate per finanziare dottorandi e ricercatori universitari.

Noi imprenditori, quando la crisi mordeva e non ci lasciava respiro, abbiamo aggiunto nuovi buchi alla cintura pur di stringere la cinghia. Vorremmo finalmente vedere dalla nostra classe politica lo stesso atteggiamento. Con quale credibilità i nostri parlamentari possono continuare a chiederci sacrifici, se loro stessi ricevono un ricco vitalizio dopo soli 4 anni, 6 mesi e un giorno di carriera parlamentare?

Quarta priorità: bisogna riaprire seriamente la fase delle liberalizzazioni dei servizi pubblici, perché il costo delle inefficienze si ribalta sui bilanci delle imprese e delle famiglie.

Lo ha ricordato anche Mario Draghi nelle sue Considerazioni finali: «La sfida della crescita non può essere affrontata solo dalle imprese e dai lavoratori direttamente esposti alla competizione internazionale, mentre rendite e vantaggi monopolistici in altri settori deprimono l'occupazione e minano la competitività complessiva del Paese».

In Italia il capitalismo municipale conta 5600 imprese partecipate, più 18% negli ultimi otto anni, per un valore degli asset che, sommato alle partecipazioni statali, è pari all'intero PIL del Paese. E tutto ciò mentre nel resto del mondo si va nella direzione esattamente opposta. Infatti, dopo la fase più acuta della crisi, si è tornati a cedere quote di aziende pubbliche per 160 miliardi di euro, solamente nel 2010.

Per l'Italia abbiamo il timore che dopo i risultati del referendum, come ha ripetutamente ricordato anche Oscar Giannino che oggi è qui con noi, la situazione non possa che peggiorare.

Su questo punto anche a Vicenza abbiamo una carta importante da giocare.
Un'AIM risanata può finalmente uscire dalla logica del piccolo distributore periferico, che lavora nel mercato protetto del solo capoluogo e che continua a lavorare in-house nonostante le promesse fatte, e può diventare invece promotore di un progetto di sviluppo industriale per la green economy. Un simile progetto dovrebbe coinvolgere le migliori aziende del nostro territorio e potrebbe diventare la leva per nuovi servizi e nuove opportunità di occupazione qualificata.

Quinta priorità: va realizzato un piano coraggioso di modernizzazione delle infrastrutture con il contributo essenziale di capitali privati e di capacità imprenditoriali.

Nel Veneto ci siamo già mossi per la TAV e il Sistema Ferroviario Metropolitano. Possiamo farlo anche su altre infrastrutture fondamentali, come l'energia, l'ambiente, la formazione, la cultura.

Non chiediamo di sostituirci allo Stato e agli Enti locali, ma di aiutarli a realizzare opere e servizi indispensabili per lo sviluppo del territorio. Per farlo abbiamo però bisogno di regole chiare e tempi certi nelle decisioni politiche.

Infine, ma non ultima per importanza, chiediamo una riforma elettorale che dia ai cittadini la possibilità di scegliere i loro rappresentanti.

Non è accettabile che siano cinque o sei segretari di partito, nel chiuso di una stanza, a decidere i nomi di mille parlamentari. Per recuperare credibilità la politica deve tornare a misurarsi con il consenso e con il territorio.

Se le forze politiche riescono a trovare un accordo in Parlamento, bene. In caso contrario, siamo disposti a sostenere un referendum per una drastica riduzione del numero dei parlamentari e per la cancellazione di questa pessima legge elettorale.

IL RUOLO DELLA POLITICA

Mentre mi avvio alle conclusioni permettetemi di porre l'accento sull'assenza su questo palco, oggi, di rappresentanti del mondo politico.

Quest'anno non abbiamo voluto invitare rappresentanti del Governo nazionale e regionale. E questo non perché crediamo che dalla politica, quella che si occupa di sviluppo e opera per creare le condizioni per realizzarlo, si possa prescindere. Tutt'altro.


Per uscire dall'empasse e dall'incertezza in cui è finito il nostro Paese, la politica serve, eccome. Ma in questa sede, oggi, non volevamo sentire le solite giustificazioni o le solite vaghe promesse.

C'è un tempo per parlare e c'è un tempo per fare. E oggi abbiamo bisogno di fatti. Li chiediamo al governo nazionale e anche a quello regionale. Perché noi imprenditori siamo abituati a misurarci con la concretezza e con il rispetto dei patti.

Per garantire importanza al lavoro, all'impresa, al nostro territorio non possiamo rassegnarci a un glorioso passato. Né possiamo accontentarci di un presente di benessere e di successo. Dobbiamo recuperare e ricostruire il futuro. Che viene evocato spesso, ma in effetti è sfumato. Perché attualmente appare sospeso, appare precario. Proprio come i nostri giovani.

Certo, la Storia siamo noi. Scritta da tanti come noi, prima di noi. Scritta da noi stessi. Con la nostra fatica, con la nostra intelligenza, con il nostro lavoro. La Storia siamo noi. Ma altri, insieme a noi e dopo di noi, devono poter continuare a scriverla.

Bob Dylan disse una volta: «Essere giovani vuol dire tenere aperto l'oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro».

E allora se vogliamo continuare a credere nel sogno che ci ha fatto diventare quello che siamo, è proprio con i giovani che dobbiamo sigillare un patto di alleanza sul futuro. E se vogliamo che la nostra Storia continui, non si chiuda con noi, dobbiamo fare in modo che quel sogno possa camminare sulle gambe dei nostri giovani.

E allora facciamolo, facciamolo tutti assieme, facciamolo subito.

Viva i nostri giovani. Viva Vicenza. Viva l'Italia!


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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