Calcinacci, alluvioni invisibili e crolli presunti: ma che succede al mondo dell'Informazione?
Domenica 14 Novembre 2010 alle 00:07 | 0 commenti
Riceviamo da Roberto Ciambetti e pubblichiamo
Sul caso Pompei, devo credere al professore Andrea Carandini o alle notizie riportate dalla stampa? Il professor Carandini è titolare della cattedra di Archeologia Classica all'Università la Sapienza di Roma nonché, da febbraio 2009, Presidente del Consiglio Superiore dei beni culturali.
La stampa parla del crollo della Casa dei Gladiatori ma il docente universitario spiega che «Il dolore monumentale va circoscritto: quello che è crollato è il restauro di Maiuri degli anni quaranta del secolo scorso». L'affermazione del professore, che sarebbe da prendere in parola senza tentennamenti, dai più dubbiosi può essere facilmente verificata.
L'archeologo ha ragione da vendere: la "Schola Armaturarum" fu tra le vittime dei bombardamenti alleati nel settembre del 1943 che seguirono la prima incursione aerea del 24 agosto, tragica e fatale ricorrenza dell'eruzione vesuviana del 79 d.C. avvenuta proprio in quel giorno. Dei bombardamenti alleati non vi sarebbe ricordo, oltre che tra i giornalisti che hanno dato la notizia del crollo, nemmeno negli scavi, se non per una lapide. Straordinario, invece, "Danni di guerra a Pompei, una dolorosa vicenda quasi dimenticata" di Laurentino GarcÃa y GarcÃa pubblicato nella collana degli studi della Soprintendenza Archeologica di Pompei nel 2006.
Proprio in questo prezioso studio troviamo le immagini di cosa era prima del 1943 l'edificio di cui oggi si lamenta l'improvvido crollo: il testo, poi, è scritto in maniera divulgativa ed è accessibile anche a chi non è archeologo di professione.
Ebbene, il professor Carandini ha ragione quando invita a contenere lo sdegno per una vicenda che è stata caricata di troppi significati e che ha dato la stura a polemiche non da poco. Con questo non voglio dire che gli scavi di Pompei non necessitino di interventi e tutela, ma noto come, ultimamente, il mondo dell'informazione stia prendendo cantonate interessanti: non si dà la notizia dell'alluvione del Veneto se non con una settimana di ritardo; si annuncia, senza fare le necessarie verifiche, con clamore la caduta di un edificio pompeiano, quando questo era andato distrutto in massima parte nel settembre del 1943, creando tuttavia la possibilità d'accostare la situazione, per altro devastante, degli scavi di Pompei con il Veneto ferito.
Sorge il sospetto spiacevole che ad una disgrazia se ne voglia affiancare un'altra, magari capace di oscurare ciò che è accaduto o portarlo in secondo piano fino a dimostrare che, in mezzo al mal comune di una cattiva gestione del patrimonio sia esso ambientale come culturale, i veneti non devono lamentarsi e piangersi addosso, come lamenta persino Giancarlo Galan, ben noto per il suo stacanovismo indefesso.
In mezzo a tutto ciò, come è stato fatto notare, sottolineo anch'io un dato curioso: sotto sotto, Luca Zaia quando parlava di calcinacci di valore tutto sommato contenuto per Pompei, non si sbagliava e aveva ragione nel dire che quei danni non sono commensurabili con quanto ha sofferto il Veneto.
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